Non si abbassano i toni tra Italia e Commissione europea. A parte l’ultimo botta e risposta tra Jean-Claude Juncker e Matteo Renzi, il Premier italiano, oltre a minacciare il veto sul bilancio Ue, ha anche detto che l’anno prossimo l’Italia dirà no all’inserimento del Fiscal compact nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea. Lo stesso “trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria”, firmato nel 2012, all’articolo 16 recita: “Al più tardi entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del presente trattato, sulla base di una valutazione dell’esperienza maturata in sede di attuazione, sono adottate in conformità del trattato sull’Unione europea e del trattato sul funzionamento dell’Unione europea le misure necessarie per incorporare il contenuto del presente trattato nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea”. Abbiamo chiesto un parere a Claudio Borghi Aquilini, responsabile economico della Lega Nord e consigliere regionale della Toscana.
Cosa ne pensa di questa posizione di Renzi sul Fiscal compact?
Anzitutto bisognerebbe ricordare che il Parlamento italiano ha votato la ratifica del Fiscal compact nel 2012 con una “maggioranza bulgara”. L’unico partito a votare compatto contro è stato la Lega Nord. In ogni caso non so come ci si possa opporre al suo inserimento nell’ordinamento giuridico dell’Ue quando ciò è previsto all’interno del trattato stesso. E poi il trattato in quanto tale resterebbe in vigore comunque. Dunque non cambierebbe nulla. Inoltre, più che veti dell’Italia io continuo a vedere che, coi voti convinti del Partito democratico, corriamo ad approvare leggi che poi ci danneggiano, come nel caso del bail-in.
Secondo lei, perché Renzi sta tenendo questo atteggiamento di “sfida aperta” con l’Unione europea?
È una strategia mediatica studiata. Il Governo ha visto che il vento anti-Ue, dopo Brexit in particolar modo, sta diventando sempre più impetuoso. Ed ecco allora che aggiusta la comunicazione per diventare anti-Ue. Questo è quello che viene dato in pasto al popolo, poi quello che succede è tutt’altra cosa. Un po’ come quando Renzi i suoi ministri ripetono che continuano a diminuire le tasse, mentre se si va a vedere il gettito fiscale si vede che è salito del 6%. Siamo in pieno 1984, con la neolingua immaginata da Orwell. In questo senso abbiamo anche un altro esempio lampante.
Quale?
Renzi improvvisamente sembra diventato Farage, con i suoi attacchi nei confronti dell’Europa. Intanto, però, propone una riforma, che i cittadini dovranno approvare nel referendum del 4 dicembre, per cui in Costituzione l’Italia verrà ancora più vincolata ai “diktat” dell’Unione europea. L’articolo 117 che si vuole introdurre, infatti, dice che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea”.
Sembra un controsenso.
Sia chiaro, Renzi non è impazzito. Sta facendo esattamente quello che dice l’Europa, ma inganna i cittadini facendo credere il contrario. Se avessimo voluto opporci all’Ue, invece di chiedere in ginocchio la flessibilità a Bruxelles per uno 0,1% di deficit (che vuol dire comunque fare quello che ci viene chiesto), avremmo dovuto fare una manovra con saldi ben differenti. Nel momento stesso in cui fosse stata sollevata una qualche obiezione, sarebbe bastato togliere una parte del contributo dato al bilancio Ue per usarlo ai fini dell’emergenza terremoto.
Nelle ultime settimane lo spread è tornato a salire, tornando sopra i 150 punti base e superando anche i 160. Secondo lei, ci sono timori che l’Italia possa essere l’anello debole dell’euro e quindi i mercati stanno scommettendo contro di noi per far saltare la moneta unica?
Un momento. Chiariamo subito una cosa: lo spread si è alzato perché evidentemente la Banca centrale europea ha diminuito gli acquisti dei nostri titoli di stato. I famosi “mercati” non c’entrano, non hanno la capacità di attacco su un singolo Paese. Quanto all’euro, anticipo ai vostri lettori che il 30 novembre a Bruxelles verrà presentato un lavoro fatto da me e Alberto Bagnai in cui cerchiamo di spiegare perché ci sono atteggiamenti diversi nei confronti dell’Ue da parte dei suoi paesi membri. Faremo vedere chi ha più facilità o convenienza ad andarsene. Quindi diventerà anche evidente perché ci sono dei paesi, come Spagna, Portogallo o Irlanda, che non ci pensano nemmeno ad andarsene. Sebbene in apparenza ne sembrino danneggiati.
Secondo lei, lo spread viene fatto salire apposta per mettere pressione agli elettori in vista del referendum del 4 dicembre?
Certo che è così. Qualcuno si ricorda il referendum in Grecia? Come mai le banche greche chiudevano? Perché la Bce non le garantiva più con l’Ela. Quindi capite bene che la volontà di chiusura o di apertura delle banche greche era del tutto scorrellata dai fondamentali delle banche medesime. In questo momento, quindi, il vero potere dell’Ue, che può far chiudere banche, rendere il debito non solvibile, decidere quindi anche il tasso di finanziamento dei singoli stati, è in mano alla Bce, un organismo che di democratico non ha nulla.
(Lorenzo Torrisi)