Lo spread si è compresso ieri e la Borsa, almeno fino all’ora di pranzo, era tonica, trainata dai titoli energetici che si aspettavano un accordo in sede Opec sul taglio della produzione petrolifera. Il referendum non fa più paura, nonostante il terrorismo dispensato a piene mani dai media internazionali e l’ennesima intromissione nella politica italiana, questa volta a opera del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, schieratosi per il “Sì”? La questione è differente e trova le sue ragioni nella motivazione che vi spiego da giorni (ieri anche il Sole24Ore è arrivato alla conclusione che la correlazione spread/referendum è meramente strumentale, meglio tardi che mai): martedì, infatti, una fonte anonima della Bce avrebbe fatto filtrare, attraverso la Reuters, l’indiscrezione in base alla quale l’Eurotower starebbe preparandosi al un deja vu del Brexit e sarebbe pronta a «intervenire temporaneamente con acquisti di bond governativi italiani, se il risultato del cruciale referendum di domenica dovesse scuotere i mercati e spostare violentemente al rialzo i costi di finanziamento del debitore più grande dell’eurozona». Insomma, speculazione avvisata: non date vita a sell-off preventive o a riaperture di posizioni short chiuse di corsa tra lunedì e martedì, perché proprio come ci ha insegnato il Brexit, è inutile vendere se hai una Banca centrale alle tue spalle.
Ora, permettetemi un brevissimo passo indietro. Come ormai sanno tutti, esiste un interesse apertissimo del gruppo finanziario JP Morgan per la riforma della Costituzione che verrà sottoposta a referendum domenica. Già nel 2013, il gruppo finanziario l’aveva esplicitato: ci vogliono riforme delle Costituzioni in Europa, giacché a oggi esse sono troppo socialiste (diritti dei lavoratori, welfare state, ecc.) e, di più, costituiscono un ostacolo per l’economia di mercato del capitalismo finanziario. Occorre rottamarle o, appunto, riformarle. Bene, la cosa è interessante e va ricordata perché a brevissimo giro di posta dalla dichiarazione della Bce attraverso la Reuters, è stato proprio l’analista della JP Morgan, Greg Fuzesi, ha redigere a tempo di record un report dal titolo ECB: doubting the “sources” story on Italy, nel quale si definiva «altamente scettico rispetto alla notizia diffusa dalla Reuters per quattro ragioni. Tanto più che riteniamo impossibile immaginare che l’attuale programma di Qe possa essere usato per intervenire sul mercato del debito italiano senza una preventiva approvazione del Governing Council. Inoltre, se anche la Bce avesse in mente di intervenire in Italia, i rendimenti obbligazionari dovrebbero comunque salire in maniera drammatica dai livelli attuali, prima di poter agire».
Sarà, ma, come vedrete, l’analisi di JP Morgan è molto approfondita e, per quanto i suoi analisti siano bravissimi, il timing rispetto all’uscita della Reuters sulla Bce è sospetto: qualcuno sta giocando al gatto col topo per favorire il “Sì” o, meglio, per un preciso piano di destabilizzazione? La puzza si fa molto forte. E la banca d’affari spiega la motivazione della sua visione. Stando alla storia raccontata dalla Reuters, la Bce userebbe il programma di acquisto obbligazionario da 80 miliardi al mese per intervenire sul mercato obbligazionario sovrano italiano in caso la vittoria del “No” spedisca in alto i rendimenti dei nostri bond, portando a un netto ampliamento dello spread. Stando alle “fonti” della Reuters, un tale riallocazione degli acquisti di bond da altre nazioni verso l’Italia in seno al Qe potrebbe durare per giorni o settimane e potrebbe non richiedere l’approvazione del Governing Council, visto che potrebbe sfruttare l’attuale flessibilità già presente nel programma di stimolo monetario, rivendicata non più tardi di lunedì scorso dallo stesso Mario Draghi al Parlamento europeo.
La stessa Reuters, nella sua ricostruzione, riconosce però che un supporto più di lungo termine potrebbe richiedere una formale richiesta di aiuto da parte del governo italiano, presumibilmente da avanzare al fondo Esm. Ovvero, la troika. Da un punto di vista legale, in effetti la European Court of Justice che sovrintende al meccanismo Omt ha offerto molta libertà alla Bce per modellare e utilizzare le sue politiche affinché siano considerate effettive e proporzionate. Ed è altrettanto vero che lo stesso criterio di capital key che regge l’impianto del Qe è stato esso stesso utilizzato finora con parecchia flessibilità. Inoltre, durante la terza ondata di crisi greca dello scorso anno, quasi tutti gli analisi concordavano sul fatto che la Bce avrebbe potuto lanciare un Anti-Contagion Programme che focalizzasse gli acquisti su uno specifico mercato azionario in sofferenza a causa degli spillovers provenienti da Atene e, questo, senza aver bisogno della condizionalità tipica, ad esempio, dell’Omt.
Come anticipato, JP Morgan non crede a questa ricostruzione per quattro ragioni. Eccole. Primo, l’attuale programma di Qe è strutturato per ottenere il target di inflazione e, quindi, sia da un punto di vista legale che di politica, ogni intervento specifico su una nazione dovrebbe essere operato attraverso un nuovo programma (o, più propriamente, attraverso il già esistente meccanismo Omt). Secondo, è difficile vedere come la Bce possa intervenire in Italia senza alcuna condizionalità, visto che l’Italia soffre più per problemi interni e strutturali che per shock esterni (leggi il sistema bancario e la ratio debito/Pil): quindi, l’Anti-Contagion Programme non appare utilizzabile nel caso italiano. Terzo, la flessibilità dell’attuale programma di Qe si basa sulla regola in base alla quale determinati bonds non possono essere comprati in una nazione a causa della scarsità: riallocare acquisti sull’Italia quando le obbligazioni possono essere ancora comprate altrove altererebbe la natura della flessibilità esistente. Quarto e ultimo, per tutte queste ragione JP Morgan ritiene impossibile immaginare che l’attuale programma di Qe possa intervenire sul mercato italiano senza una preventiva approvazione da parte del Governing Council della Bce e, se anche si arrivasse a questa determinazione, l’Eurotower dovrebbe aspettare un aumento molto netto dei rendimenti prima di poter intervenire.
Ora, al netto di questi argomenti cogenti, io ho la certezza che in caso di panico da vittoria del “No”, la Bce interverrebbe comunque in maniera massiva, quantomeno per evitare una price discovery sul nostro debito che manderebbe immediatamente shock su quello greco, spagnolo e portoghese. Come ho già detto, però, la rapidità con cui JP Morgan ha reagito alla notizia della Reuters riguardo la volontà dell’Eurotower di supportare i bond italiani in caso di necessità, mi fa capire che qualcosa bolle in pentola. E potrebbe essere legata a un intreccio di interessi internazionali, visto che fino alla settimana scorsa Wolfgang Schaeuble attaccava la Commissione Ue riguardo i rimbrotti sul surplus tedesco, dicendole di andare a vedere i conti dell’Italia e, di colpo, ha stampato il più classico dei baci della morte sulla guancia di Matteo Renzi, garantendogli il meno gradito degli endorsement (basti vedere la freddezza con cui il premier italiano lo ha accolto).
C’è una necessità di medio termine che, per trovare compimento, ha bisogno di un po’ di caos a breve termine? Io resto della mia idea: per gestire l’Unione europea nella sua fase di sfaldamento, la Germania vuole la guida della Bce e un’Italia nel caos che veda Mario Draghi costretto a rispondere anzitempo al richiamo della patria, potrebbe risolvere i problemi di tutti. Tranne che degli italiani. Ma questo, ormai, è un optional da parecchio tempo.