Di Claude Juncker, il presidente della Commissione europea – l’unico organo di mandarini non votati da nessuno in grado di decidere le sorti di Parlamenti eletti da popoli sovrani (almeno, sulla carta) – posso certamente dire che, se non ci fosse, bisognerebbe davvero inventarlo. Come i vecchi apostrofavano solennemente nella terra dei miei avi: “nun tiene scuorno”. Non ha vergogna, apre la bocca e gli dà fiato, muovendo l’aria, come se nulla fosse, modulando la gradazione delle sue lenti a seconda dell’elefante che deve puntare. L’effetto comico rende leggiadro ogni intervento su di lui, pover’uomo, ormai alla ricerca affannosa e disperata della residua legittimazione di una baraccopoli di classi “digerenti” (i denari di quegli Stati, di cui si disprezza perfino l’esistenza).



Qual è l’ultima “chicca” di cotanto personaggio? Eccola, da urlo: “Quelli che pensano che sia arrivata l’ora di decostruire l’Europa, di farla a pezzi e di tornare alle divisioni nazionali, sbagliano completamente”. Non basta. Il temerario mandarino ha aggiunto: “Nessuna nazione singola esisterebbe senza l’Europa”. L’occasione è più che scontata: il discorso per i 25 anni dello sciagurato Trattato di Maastricht, firmato, per nostra parte, da una triade altolocata: Giulio Andreotti, Gianni De Michelis e Guido Carli. Segue l’art. 105A del Trattato, che trasferisce la sovranità monetaria alla Bce, con tanto saluti alla sovranità politica de facto: “1. La Bce ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote all’interno della Comunità. La Bce e le Banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Bce e dalle Banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nella Comunità. 2. Gli Stati membri possono coniare monete metalliche con l’approvazione delle Bce per quanto riguarda il volume del conio”.



Giacinto Auriti in particolare ha dimostrato largamente come questo passaggio abbia decretato la fine della sovranità monetaria nazionale e dunque l’impossibilità da parte degli Stati di battere moneta: le conseguenze? Girate per l’Italia, con un salto a palazzo Chigi e dintorni, e ve ne accorgerete immediatamente.

Ecco cos’è stato Maastricht: la fine della democrazia su base nazionale, conseguita soprattutto sulla base della sovranità monetaria. Da qui discende che in Italia si possano avere numero tre direttori napoleonici di “tecnici” e funzionari di complemento delle banche d’affari europee, senza che ciò tocchi minimamente la sensibilità dei poteri economici, istituzionali e dei giornaloni al comando del deserto comunicativo di questo Paese. Contraltare di questo nullismo violento e decretato dall’alto è il masaniellismo di ritorno, modello pentastellato che, come avrebbero detto i bravi leninisti anni ’70, non sono altro che la stampella di questa baraccopoli burocratica, da me ribattezzata eurocrazja.



Juncker non guarda la realtà perché il sonno della sua ragione partorisce i mostri giusti, che nessuno vuole toccare. Altro che alimentare i demoni, per poi sbarazzarsene, come nel percorso ascetico orientale, in questa materia, i demoni mangiano tutto ciò che possono raggiungere, e così sia. Quindi, Juncker che sussume ogni sovranità nazionale, amputata fino alla radice, alla potenza demiurgica burocratica è oggi il vate del nichilismo finanziario e, questo sì, realmente antipolitico.

In un regime di corporativismo asfittico – prova ne sia che la Gran Bretagna è uscita dall’Europa, con il Brexit, e lo ha fatto salvaguardando i suoi interessi economici e politici -, la retorica dei perdenti sembra, al gregge di cui sopra, il la del grande tenore che chiude l’opera. Oggi il mondo “british” viaggia come una scheggia, gli Usa di Trump hanno chiuso le piazze ai dimostranti e noi ristagniamo ancora in questa melma retorica, senza che vi sia un contraltare non piazzaiolo, ma autenticamente politico, a questo stato di cose. Il punto non è uscire dall’Europa, ma l’Europa che è uscita dalla vita e dalla politica, semplicemente perché nata per starne rigorosamente fuori. La globalizzazione sta sentenziando la fine dell’eurocrazja. 

Non sono gli Stati nazionali, alcuni dei quali sempre pronti ad alloggiare a Bruxelles come fosse casa propria (mi vengono in mente Germania e Francia, ma non sarà un eccesso di zelo?…chissà…), a far fuori l’Europa, è la storia che avanza, con i suoi tempi e i suoi ritmi. La storia che un intellettuale tedesco, guarda un po’, Reinahrt Koselleck, aveva descritto come un movimento retto da due principi, lo “spazio di esperienza” e l'”orizzonte di aspettativa”. Lo spazio di esperienza burocratico lo abbiamo descritto sopra, dunque quale mai potrà essere l’orizzonte di aspettativa?

Infine, è gustoso osservare come il mandarino dell’eurocrazja sia così vicino al Putin, il diavolo condannato alle purghe delle assurde sanzioni, quando definiva, nell’aprile 2005, con solenne senso storico, il collasso dell’Urss come “la più grande catastrofe geopolitica del secolo scorso”.

Juncker definisce il collasso dell’Ue come la più devastante catastrofe politica del nostro tempo, al pari di Putin, ex funzionario Kgb comunista, nei confronti dell’Urss. Il fatto è che l’eurocrazja prende il sopravvento proprio a ridosso del crollo dell’Urss, senza il quale non sarebbe mai nata. E oggi fa rimpiangere perfino quel regime, col quale almeno era possibile patteggiare e trovare accordi intelligenti e mutuamente vantaggiosi. Era il tempo della Guerra Fredda, oggi è il tempo della dittatura dei burocrati non eletti. Il gelido “vento del Nord” (G.W.F. Hegel). 

Chi potrebbe mai dar torto al Poeta, sull’infantile insulsaggine delle “magnifiche sorti e progressive”?