Il Governo Gentiloni non incassa solo la fiducia di Camera e Senato, ma anche un “aiuto” dalla Commissione europea. Jean-Claude Juncker, nel suo intervento alla plenaria del Parlamento europeo, ha infatti detto: “Non possiamo lasciar sola l’Italia sola nella crisi dei rifugiati. Lo ribadisco: i fondi che l’Italia mette a disposizione per mitigare la crisi migratoria non possono rientrare nel campo di applicazione del Patto di stabilità. Quanto l’Italia fa per i migranti, e l’Italia fa molto, non deve portare a conseguenze negative per il suo bilancio”. Parole che sembrano “spegnere” già ogni possibile scontro acceso tra il nuovo esecutivo e Bruxelles, a differenza di quanto visto poche settimane fa. «In effetti quello che ci si può aspettare è che il Governo sia meno “aggressivo” nei confronti dell’Unione europea e che in cambio ne riceva un atteggiamento più comprensivo rispetto agli sforamenti del deficit. Rimangono i problemi, nel senso che l’Europa non ha fatto la sua parte per far applicare le quote di ripartizione dei migranti. Tuttavia di fronte a una cosa che non è andata bene non è detto ci sia una sola tattica da usare», ci dice Francesco Daveri, Professore di Scenari economici all’Università Cattolica di Piacenza.



Qual è l’alternativa alla tattica usata fino a poco tempo fa da Renzi?

Non si può scardinare dall’interno il funzionamento dell’Europa quando si è un Paese con un elevato debito pubblico e che beneficia delle politiche della Bce, che tengono basso il tasso di interesse su tale debito. L’Italia dovrebbe segnalare a Bruxelles una maggior attenzione nel controllo della spesa pubblica, che finora è stato rinviato. Gentiloni e Padoan credo dovrebbero trovare il modo di dare un segnale in questa direzione.



Quali sfide dal punto di vista economico dovrà affrontare il Governo Gentiloni?

È un esecutivo che nasce con un’incognita sulla sua durata. Rimane il fatto che la questione bancaria va affrontata subito, con un decreto che non sia limitato al caso Mps, ma che miri a predisporre un ombrello pubblico che aiuti la ricapitalizzazione delle banche, fornendo garanzie che possono arrivare fino alla temporanea nazionalizzazione. Questa credo sia l’urgenza numero uno, perché è una questione che questo Governo eredita dai precedenti, ma che è stata lasciata colpevolmente irrisolta, per esempio a luglio, quando si è preferito concentrarsi sul referendum in arrivo. Le altre sfide dipendono anche da elementi che non conosciamo completamente, come la durata dell’esecutivo.



Proviamo a mantenerci nell’orizzonte dei primi mesi del 2018.

Se l’esecutivo supera il mese di marzo, a quel punto deve preoccuparsi di predisporre il Def 2017, che comincia a preparare la cornice macroeconomica della Legge di bilancio del 2018. Questo documento contiene fondamentalmente indicazioni su deficit e debito e non ancora la previsione delle misure da intraprendere per raggiungere gli obiettivi che verranno fissati per il 2018. Prima di allora riceveremo una “pagella” più definitiva dalla Commissione europea sull’uso fatto della flessibilità per quel che riguarda emergenza terremoto e migranti. Sapremo quindi se c’è un qualche sforamento rispetto a quanto preventivato. E come detto le cose potrebbero andare anche bene.

Dopo l’estate ci sarà invece da predisporre la Legge di bilancio 2018. Secondo lei sarebbe meglio che fosse un altro Governo a farlo?

Preferirei ci fossero le elezioni il prima possibile, nella speranza che producano un vincitore o una coalizione vincitrice o comunque un governo che abbia avuto un consenso elettorale, che forse può aprire i tanti file difficili, andando oltre l’emergenza, che è quello che giustamente il Governo Gentiloni dovrà fare adesso. Sarebbe auspicabile che la manovra del 2018 venisse disegnata da un esecutivo che si suppone resti in carica per gli anni a venire.

 

Gentiloni ha detto che la priorità del suo Governo sarà il lavoro. Le misure appena approvate con la Legge di bilancio potranno aiutare l’occupazione?

La manovra include i crediti di imposta per gli investimenti: se usati bene possono aiutare l’occupazione. Il Jobs Act così com’è favorisce il lavoro se i fatturati delle aziende vanno bene. Nel senso che in tempi buoni induce gli imprenditori ad assumere a tempo indeterminato, mentre c’è il rischio che se l’economia non va bene sia più facile liberarsi del personale in eccesso. Ci sono alcune nubi sul fronte occupazionale che riguardano soprattutto il settore bancario. Tuttavia si può immaginare che pian piano la ripresa, che sarà vicina all’1%, assieme a un ritorno dell’inflazione, possa favorire un aumento dei posti di lavoro. Più che dalle misure dell’ultima Legge di bilancio, penso che tale aumento sarebbe frutto dell’insieme degli interventi messi in atto negli anni scorsi.

 

(Lorenzo Torrisi)