L’attacco è partito, su più fronti. La guerra tra Vivendi e Mediaset ormai non è più di retroguardia, siamo alle barricate: i francesi sono saliti al 12% e puntano ad arrivare al 20% entro Natale, mentre Berlusconi ha portato la sua quota al 40%, ha già ordinato l’acquisto di altri 14 milioni di titoli e ha denunciato la società di Bolloré per turbativa dei mercati. È guerra totale. Sembra che Fedele Confalonieri abbia tastato il polso a Paolo Gentiloni per capire se può contare su un appoggio del governo nello scontro, ma, a oggi, i capitoli caldi per palazzo Chigi restano altri, primo fra tutti i numeri al Senato per poter governare. Attenzione a non pentirsene un domani, visto che la gravità della situazione è testimoniata dalla decisione del Cavaliere di annullare tutti gli impegni e chiudersi in conclave permanente con i due figli, i manager e gli avvocati del gruppo.
C’è poi Mps, dopo che martedì la Bce si è degnata di formalizzare il suo “no” a una proroga per l’aumento di capitale, il cui termine resta quello del 31 dicembre: a questo punto, salvo miracoli di JP Morgan, toccherà al governo già oggi entrare nella partita. Indiscrezioni dicono che lo Stato italiano potrebbe investire fino a 1 miliardo di euro in Banca Mps per blindarne il salvataggio, almeno questa sarebbe l’ipotesi emersa martedì notte in ambienti finanziari alla vigilia di un’altra giornata campale per l’istituto di credito senese. «Il governo è pronto a intervenire per garantire la stabilità degli istituti e il risparmio dei cittadini», ha spiegato il neo-presidente del consiglio, Paolo Gentiloni, nel discorso con cui ha chiesto (e ottenuto) la fiducia alla Camera. Nell’agenda del governo, dopo la riunione di ieri, c’è ora in programma anche un Consiglio dei ministri per domani pomeriggio, dopo il ritorno del premier da Bruxelles e pare scontato che sarà proprio Mps ad avere la priorità nella calendarizzazione dell’ordine del giorno.
Oggi avremo anche una risposta dal cda di Mps tenutosi ieri e nel frattempo si attende l’autorizzazione (non così scontata) della Consob in merito alla riapertura dell’operazione di conversione in azioni dei bond subordinate in mano al pubblico retail, come decisa domenica dal Cda di Rocca Salimbeni. I contorni della rete di sicurezza pubblica pronta ad aprirsi su Mps sono ormai definiti e poggiano su una ricapitalizzazione precauzionale nelle forme previste dall’articolo 32 della direttiva europea Brrd, la quale permette un sostegno straordinario con fondi del governo, a patto che sia «temporaneo e proporzionato» all’esigenza di prevenire o di rimediare a una «grave perturbazione dell’economia del Paese». Il risparmio dei cittadini, inteso prima di tutto come depositi, è in quest’ottica fuori dal rischio caduta perché il nuovo ingresso in campo del governo non farebbe scattare il bail in, ma il burden sharing a carico delle obbligazioni subordinate. Proprio questi titoli sono al centro del tentativo di conversione volontaria rilanciato dal Monte e sarebbero invece sottoposti a conversione forzata se la soluzione di mercato non arrivasse al traguardo, con costi ancora da determinare nel confronto con la commissione Ue. Insomma, una gatta da pelare non da poco.
Tanto più che i fronti sono anche altri e la conferma l’abbiamo avuta martedì sera a Borse chiuse, quando Moody’s ha modificato l’outlook del settore bancario italiano portandolo da neutrale a negativo, mossa che tipicamente precede un taglio generalizzato dei rating delle banche con conseguente caduta dei prezzi. E se ormai i downgrades sembrano non fare più notizia, questo invece ha un suo peso specifico. Le motivazioni ufficiali sono infatti due. La prima è la percentuale di crediti in sofferenza (impaired loans), la quale a detta di Moody’s ha un valore di 16,4%, pari al triplo della media europea. Questo grafico era allegato alla nota di cambio dell’outlook dall’agenzia di rating e colloca all’estremo destro Mps, Popolare di Vicenza e Carige. In alto a sinistra, però, si legge “End-1H16”, ovvero il primo semestre di quest’anno. Si tratta infatti di dati già noti, pubblicati lo scorso giugno dall’Ebam ma, guarda caso, divenuti soltanto oggi di fondamentale importanza per Moody’s al fine di motivare la sua scelta. Diciamo che hanno i riflessi un po’ allentati. O sono molto furbi.
Seconda particolarità e seconda motivazione, ancora più irrituale: il downgrade rifletterebbe infatti «gli effetti negativi sulla fiducia conseguenti dal rifiuto da parte del Paese delle riforme costituzionali». Inoltre, per Moody’s «il fallimento nel ristrutturare una banca debole come Mps condurrebbe a un ulteriore scadimento della fiducia». Come dire, caro Gentiloni ti conviene muoverti. E in fretta.
Cosa potrebbe accadere ora, se non si interviene massicciamente con un scudo statale? Il nostro sistema bancario ha il fianco scoperto, visto che nonostante gli applausi del mercato, il piano industriale presentato martedì da Unicredit è da pelle d’oca: un maxi aumento di capitale da 13 miliardi di euro, la cessione di 17,7 miliardi di sofferenze e il taglio di circa un quinto dei dipendenti in tre anni. Una cura drastica e per nulla indolore sotto il profilo occupazionale, dato che gli esuberi salgono di 6.500 unità rispetto al vecchio piano approvato nel novembre 2015, con 14.400 tagli di qui al 2019 di cui il 65% in Italia (9.400 unità e la chiusura di 800 filiali). I sindacati, consci della situazione del primo istituto italiano, non sembrano intenzionati a innalzare le barricate. Insomma, Unicredit ha svelato al mondo quale sia il vero stato di salute delle banche italiane e lo ha fatto da una posizione di forza, ovvero attraverso un piano che potrebbe davvero rimettere a posto i conti: ma tutte le altre, Mps in testa?
Pensateci. Unicredit con questo piano ha reso palese l’ovvio, ovvero che i parametri su cui si basa il piano di ricapitalizzazione di Mps sono pura fantasia, le coperture necessarie sui non performing loans sono di gran lunga maggiori del minimo sindacale ricercato da Rocca Salimbeni. Inoltre, occorre prendere atto del fatto che nei prossimi 2-3 anni, stante questi numeri, nel nostro Paese andranno in fumo non meno di 40mila posti di lavoro nel settore bancario. Pare poi chiaro che non ci siano più spazi di intervento per soluzioni mutualistiche e di sistema, il caso Etruria e soci e il fondo Atlante con la compartecipazione delle banche italiane non è ripetibile, dato che gli effetti sui bilanci di chi partecipa generano danni maggiori dei benefici studiati e voluti per i salvati. Il rischio è che se qualcuno vuole sfruttare il momento di indecisione politica per attaccarci, lo farà senza tante discussioni attraverso proprio un assalto speculativo contro il settore bancario a colpi di ingenti vendite allo scoperto.
La Consob, vista la reattività sul vaso Vivendi-Mediaset, non pare pronta a un’eventualità simile. Fossi Padoan, sospenderei le ferie natalizie a tutti i dipendenti chiave del ministero: esattamente come in agosto, Natale e i suoi bassi volumi potrebbero essere il territorio di caccia perfetto per chi vuole farci del male.