Al di là dei complessi aspetti giuridici di una vicenda ancora in evoluzione, il “caso Vivendi Mediaset” dovrebbe innescare un dibattito di ampie dimensioni in Italia. Dopo una fase di crescita (ormai terminata da anni) siamo tornati a essere una Paese di “stagnazione secolare”, oggetto di scorribande da parte dei maggiori Paesi europei mirate a prendersi le parti migliori della Penisola? Ci sono rimedi? E quali sono?
Sono interrogativi profondi, già sollevati, su questa testata, da Giulio Sapelli (sotto il profilo economico) e da Stelio Mangiameli (sotto quello giuridico). Meritano di essere approfonditi perché il “caso Vivendi Mediaset” non è che l’ultimo (anche se forse uno dei più clamorosi per il settore coinvolto) di una lunga serie che ha visto il trasferimento all’estero della principale industria metalmeccanica, l’acquisto, da parte di imprese straniere, di alcune delle maggiori aziende finanziarie, nonché di imprese di telecomunicazioni. E via discorrendo.
Occorre fare una premessa. In un’ottica liberale, poco conta di chi sia la proprietà dell’azienda; ciò che preme è che la proprietà operi e gestisca l’impresa nel modo più efficiente e più efficace e ne promuova al meglio produttività e competitività. Tuttavia, gli interessi nazionali non sono interamente “neutrali”: spesso, gli interessi aziendali rispecchiano più vaste ottiche del Paese in cui “l’impresa capofila” ha la residenza giuridica. Nel caso di Vivendi, nata nel 1998 (quindi abbastanza recente) grazie alla trasformazione della Compagnie Générale des Eaux, una utility pubblica di recente privatizzazione, iniziò una vera campagna, con una forte leva finanziaria, di acquisizioni prima in Francia e poi nel resto d’Europa per creare un impero che sfidasse le telecom e i media americana. La guidava, con energia, il Presidente e Amministratore delegato, Jean-Marie Messier, che nel 2002 rassegnò le dimensioni in quanto la forte leva finanziaria stava portando il gruppo al fallimento. Dopo una serie di cambiamenti, ma continuando una politica di espansione, nel 2012 il Consiglio di sorveglianza di Vivendi decise di concentrare le attività del Gruppo su media e contenuti. In quest’ottica Vivendi firmò un accordo con Etisalat per la cessione del 53% di Vivendi in Maroc Telecom, operazione finalizzata nel maggio 2014. Ad aprile 2014 Vivendi accettò l’offerta di Altice/Numericable per la fusione con Sfr. L’operazione è stata finalizzata il 23 novembre.
Vivendi e Universal Music Group acquisirono Emi Recorded Music, mentre Groupe Canal+ acquisì le reti televisive Direct 8 e Direct Star dal Gruppo Bolloré in cambio di titoli Vivendi. Queste operazioni sono state finalizzate nel settembre 2012. Sempre in settembre, l’Autorità Garante della Concorrenza Polacca diede il suo via libera incondizionato a una partnership strategica tra Gruppo Canal+, Iti e Tvn. Nel novembre 2013, Vivendi acquisì dal Gruppo Lagardère il 20% del capitale di Canal+ France che non deteneva ancora.
Nel marzo 2016 Vivendi è arrivata a possedere il 24,9% delle azioni di Telecom Italia rimanendo il primo azionista. L’8 aprile Vivendi ha firmato un contratto per acquisire il 100% di Mediaset Premiun; l’accordo, prevede: uno scambio di azioni che porterà entrambi i gruppi a detenere il 3,5% l’uno dell’altro; che Vivendi non potrà acquistare azioni Mediaset nel primo anno e nei successivi due non potrà possedere più del 5%, mentre Fininvest invece sarà libera di acquistare azioni Mediaset; lo sviluppo di una partnership per la produzione e la distribuzione di contenuti audiovisivi; la creazione di una piattaforma Over the top via internet con Infinity per gli italiani e Watchver per i francesi per frenare l’americano Netflix.
Il 26 luglio 2016 Vivendi ha scritto a Mediaset proponendo, in luogo del contratto firmato in aprile, lo scambio azionario del 3,5% tra Vivendi e Mediaset, l’acquisto del 20% di Mediaset Premium da Mediaset e l’emissione di un prestito obbligazionario convertibile in azioni Mediaset, emissione che permetterebbe a Vivendi di salire fino al 15% in Mediaset. Questa nuova proposta infrange i termini dell’accordo dell’aprile 2016. Il 30 maggio 2016, alla conclusione dell’Opa lanciata sulla società Gameloft di cui deteneva inizialmente una partecipazione del 30%, Vivendi ha acquisito la maggioranza della stessa società portando la propria partecipazione azionaria al 95,77%.
Da questi dettagli emerge chiaramente la strategia di Vivendi di diventare il centro delle telecomunicazioni, dei contenuti televisivi e anche delle reti per tutto il bacino del Mediterraneo e per il resto di una buona parte d’Europa. È una strategia unicamente aziendale o rispecchia un aspetto di una più vasta strategia del Governo francese, dati i legami secolari con l’antica Compagnie Générale des Eaux?
Non è difficile supporre che interessi politici e aziendali siano strettamente intrecciati. La doppia strategia si inserisce in un’ottica più vasta (sono sposato a una francese da 48 anni e conosco il sussiego con i cugini francesi guardano all’Italia) e che non riguarda solo la Francia. Il resto d’Europa guarda all’Italia come a un Paese di recente costruzione e tendente alla stagnazione secolare. In effetti, la storia economia italiana riporta solo due periodi di crescita che ci hanno allontanato dalla stagnazione secolare e dall’essere il fanalino di coda del consesso economico europea: l’età giolittiana e il trentennio dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Dalla crisi del 2008, poi, la situazione è peggiorata, anche per la scarsa attenzione alla politica economica degli ultimi quattro anni. Se non si esce da questa tendenza alla stagnazione secolare, le eccellenze italiane diventeranno terreno di razzia per essere controllate da altri Paesi nel quadro delle loro strategie economiche e soprattutto politiche.
È tema che il caso Mediaset Vivendi pone vivacemente e drammaticamente in primo piano. Il Governo dovrebbe fornire una risposta urgente e ben articolata.