Statistiche recenti hanno rilevato che circa un terzo degli italiani è in povertà e che nel 2016 tale situazione non è migliorata. Questo dato non trova spazio nelle priorità della politica e dell’azione di governo forse perché trova più utile marcare la tenuta economica della maggioranza sociale nella pur minima ripresa. Ma è un grave errore perché tale quantità di poveri cronici e nuovi impoveriti ha un elevato potenziale di destabilizzazione sistemica. Per esempio: le famiglie impoverite, oltre che consumare di meno, non possono sostenere la qualificazione dei loro figli, così aumentando nel futuro la loro probabilità di marginalizzazione economica; l’immagine di anziani con pensioni/redditi insufficienti deprime l’ottimismo economico dei lavoratori con la conseguenza di accrescere il loro risparmio prudenziale a scapito di consumi e investimenti sul piano sistemico. L’impoverimento, poi, mostra una concentrazione territoriale nel Sud e nel Centro che fa temere il declino finale di queste aree già poco industrializzate, rendendo più ampia la differenza con il Nord e, alla fine, impossibile la governabilità dell’intero sistema con criteri omogenei.
In sintesi, oltre una certa soglia la povertà, anche se minoritaria nella società, nasce il rischio economico sia di un suo aumento prospettico, sia di destabilizzazione politica della nazione. Soluzioni? Quelle strutturali implicano due azioni: a) riduzione del debito la cui spesa per interessi toglie, ogni anno, circa 80 miliardi impiegabili per investimenti, detassazione che stimoli la crescita e assistenza migliore ai più bisognosi, causa prima dell’impoverimento; b) nuovo modello di Stato sociale che protegga di meno le persone nel pieno delle loro forze e maturità, dai 25 ai 50 anni, e con impiego, investa più risorse fiscali per la qualificazione dei giovani prima dei 25 anni, e fornisca più tutele economiche e servizi di sostegno agli anziani.
La prima azione, che implica la vendita del patrimonio pubblico disponibile (700/800 miliardi) potrebbe essere impostata subito e avere una prima efficacia in pochi anni. La seconda sarebbe più lenta per le difficoltà di ottenere il consenso dalla categoria di età intermedia, quella più rappresentata da sindacati e partiti. Ma l’attuazione della prima aiuterebbe molto la fattibilità della seconda, rendendo disponibili decine di miliardi. Pertanto una politica e un governo veramente consistenti dovrebbero mettere in priorità l’operazione patrimonio contro debito che, in questa situazione, sarebbe anche un atto di solidarietà efficiente.