Nel suo ultimo discorso di fine anno da presidente, Barack Obama ha attaccato direttamente e su più fronti la Russia di Vladimir Putin, sottolineando che «l’America è una grande nazione e una grande economia, mentre la Russia è un piccolo Paese con una piccola economia, basata sull’export di gas e armi che uccidono i civili». Ora, al netto che il primo esportatore di armi al mondo dovrebbe avere la decenza di evitare certi argomenti, visto che proprio in queste ore qualche bambino yemenita sta morendo sotto bombe di fabbricazione Usa, occorre davvero chiedersi quale sia il reale stato di salute dell’economia statunitense, sia per capire quale legacy Obama abbia lasciato a Trump, sia per prezzare in anticipo le promesse del tycoon newyorchese a livello di investimenti e spesa.



Lo U.S. Council on Competitiveness ha commissionato al riguardo uno studio pro bono alla Gallup, principale istituto demoscopico Usa, chiedendo di tracciare un quadro dello sviluppo di crescita e produttività Usa in occasione del 30mo anniversario della sua fondazione. E cosa ne esce? L’America che vede Wall Street flirtare con i massimi record dei 20mila punti, sta davvero scoppiando di salute economica? È davvero in ripresa? Stando al primo grafico a fondo pagina parrebbe proprio di sì, poiché dopo l’elezione di Donald Trump la fiducia nel futuro economico del Paese è letteralmente esplosa. Bene, sentite cosa ha detto al riguardo Jim Clifton, numero uno di Gallup, presentando lo studio: «L’opinione generale più diffusa, così come è riportata dalla maggioranza dei media, ci dice che l’America è in ripresa. Gli economisti, gli accademici e i funzionari di governo usano il termine “ripresa”, quando discutono di economia, indicando implicitamente che la crescita si sta rafforzando. È così? Ci risponde il secondo grafico, dal quale deduciamo che dal 2007 il Pil pro capite Usa è cresciuto solo dell’1%.



Insomma, la recessione potrà anche essere finita ufficialmente, ma, come dicono negli Usa, l’economia statunitense è in modalità running on empty. Di fatto, ferma. Pensiamo all’America come fosse un’azienda con più di 100 milioni di dipendenti full-time, circa 18 triliardi in consumi e 20 triliardi di debito: qual è il problema più grave di una ditta simile? Proprio l’assenza di crescita. Oltretutto, al netto di tre voci di spesa in continuo aumento: sanità, immobiliare (inteso come costi legati al vivere come acquisto o affitto di casa) ed educazione, criticità in grado di mandare in bancarotta azienda e azionisti, ovvero i cittadini. Nel 1980, quei tre settori pesavano per il 25% della spesa nazionale totale, oggi pesano per oltre il 36%. Inoltre, pesano ai massimi per l’inflazione totale misurata nel medesimo periodo e questo significa che senza inflazione in quei settori, la produttività reale annuale – definita attraverso il Pil pro capite – sarebbe stata un 3,9% invece che un 1,7%. Ma l’America non è un’azienda a cui si può applicare un piano drastico di riduzione di spesa, non esistono soluzione rapide, soltanto ricette a lungo termine: ovvero, portare il Pil a una crescita superiore al 3% e, contestualmente, ridurre i costi di sanità, immobiliare ed educazione. Sarà in grado Donald Trump di farcela?



Me lo chiedo perché ci sono molte cose che dell’America i grandi media non ci dicono e che incidono non poco sulle potenzialità economiche del Paese. La scorsa settimana lo U.S. Department of Health and Human Services ha certificato un qualcosa che nessuno si attendeva succedesse: per la prima volta in venti anni, l’aspettativa di vita media in America è calata nel 2015. Prima causa, ovviamente legata al numero enorme di obesi (1 persona su cinque in tutti i 50 Stati), sono le malattie cardiache. Mentre il tasso di aspettativa di vita è sceso solo marginalmente, passando da 78.9 del 2014 a 78.8 dello scorso anno, è il fatto che si sia registrata l’inversione a creare l’effetto shock, divenendo per Philip Morgan, esperto di demografia alla University of North Carolina, un big deal, un fatto davvero rilevante.

«La novità emersa la scorsa settimana dal governo è disturbante: il tasso di morti negli Stati Uniti è salito per la prima volta in una decade e questo ha portato a un calo dell’aspettative di vita per la prima volta dal 1993, in particolar modo tra persone under 65 anni. È un fatto enorme, perché non esiste miglior indicatore del benessere dell’aspettative di vita. Il fatto che stia calando negli Usa rappresenta un qualcosa che colpisce, visto che il tasso di decessi ogni 100mila persone è aumentato per tutte le categorie demografica, a parte le donne afro-americane». Inoltre, «un calo anche minimo come questo sposta al ribasso il dato generale, un qualcosa successo davvero pochissime volte negli ultimi 50 anni. Il calo del 1993, ad esempio, fu legato all’aumento esponenziale delle vittime di Aids, influenza, omicidi e morti accidentali registrati in quell’anno. In media, l’aspettativa di vita per qualcuno nato nel 2015 è calata da 78.9 anni a 78.8 anni, mentre l’aspettativa di vita dell’uomo medio americano è calata di due decimi di anno, passando da 76.5 a 76.3. Per le donne, invece, è calata di un decimo, da 81.3 a 81.2». Principali cause, a parte le patologie cardiache, il diabete e l’Alzheimer, tutte in aumento su base annua e che hanno scatenato un dibattito per chi le vede legate al tasso di obesità e chi allo stress legato alla crisi economica del 2008.

E se qualcuno pensa che il 2015 sia stato il classico tipping point, facendo notare che già l’anno che sta finendo porterà a un nuovo aumento dell’aspettativa, occorre ricordare che quest’anno, soltanto a Chicago, gli omicidi sono aumentati del 56% su base annua. Ma attenzione, perché andando ancora a scavare più in profondità, si scopre dell’altro legato all’aspettativa di vita, decisamente inquietante. Stando all’ultimo report dei Centers for Disease Control and Prevention, nel 2015 i morti per eroina negli Stati Uniti hanno superato quelli per omicidi con arma da fuoco per la prima volta nella storia. Parliamo di 5mila morti in più lo scorso anno rispetto al 2014: negli Usa, l’utilizzo di eroina e oppiacei è letteralmente esploso, dopo decadi in cui i dottori hanno prescritto con enorme facilità potentissimi anti-dolorifici ai cittadini.

Fino al 2007, le morti legate ad armi da fuoco superavano quelle per eroina e oppiacei in rapporto 5 a 1, stando a dati del Washington Post, ma nel 2015 ci sono state 12.989 persone morte per eroina contro 12.979 per omicidi con pistole o fucili. E il problema è così grave che mercoledì scorso il Senato Usa ha dato il via libera al 21st Century Cures Act, il quale stanzia 1 miliardo di dollari per combattere la dipendenza da oppiacei attraverso trattamenti disintossicanti e prevenzione: proprio in quella occasione, il comitato per la Sanità ha reso noto che le morti legate a oppiacei, inclusi quelli sintetici come il fentanyl, sono quadruplicate negli Usa dal 1999. E proprio quest’ultima categoria è finita sul banco degli imputati, vista la sua diffusione a macchia d’olio sul mercato dei farmaci, anche da banco: le morti per oppiacei sintetici sono salite del 75% tra il 2014 e il 2015. Addirittura a Ocean County, nel New Jersey, il tasso è letteralmente esploso: nel 2013, quattro persone sono state uccise da eroina o farmaci, mentre nel 2014 erano salite a 19 e lo scorso anno il dato è arrivato a 51, stando all’Office of the State Medical Examiner del New Jersey.

E se in molti pensano che il Cures Act appena varato potrà essere di aiuto nella lotta contro la dipendenza, il procuratore di Ocean County, Jospeh Coronato, pensa che ci vorrà tempo prima di arrivare a dei risultati e che il dato sarà destinato a salire ancora, vista l’epidemicità del problema: «Il 2015 è stato un anno pessimo da quel punto di vista ma il 2016 risulterà essere stato orrendo. I numeri ci dicono che la situazione sta continuando ad andare fuori controllo».

Come vedete, lo stato di salute economica di un Paese spesso ci è raccontato meglio da indicatori poco ortodossi e meno convenzionali delle vendite al dettaglio o della ratio scorte/vendite: Barack Obama lascia a Donald Trump un Paese non solo più povero, ma anche più fragile e disgregato socialmente, un Paese che vede i morti per eroina e oppiacei superare quelli per arma da fuoco. Fossi in lui, piuttosto che villaneggiare in conferenza stampa, farei un bel mea culpa.