Alle corte: l’alta finanza italiana è sempre meno italiana. E segnatamente sempre più francese. Unicredit ha appena venduto per 4 miliardi di euro la sua Pioneer – un’ottima società di gestione del risparmio con 200 miliardi di soldi italiani investiti sui suoi prodotti – alla francese Amundi, e certamente uscirà rafforzata dall’imminente aumento di capitale, ma ne uscirà ancor meno “tricolore” di quanto sia stata finora, cioè nell’epoca, fin troppo durata, del predominio delle Fondazioni bancarie nel suo azionariato: il suo è ormai un azionariato istituzionale internazionale, e anche se il vertice ha più volte smentito l’ipotesi di una confluenza col colosso francese Société Generale, la mancanza di un ancoraggio industriale forte in un azionariato italiano salta agli occhi e apre uno spazio oggettivo a futuri cambiamenti.
Telecom Italia è francese. Mediaset è sotto attacco francese. Cosa resta? Restano le Generali, la magnifica preda della finanza internazionale, mal presidiate da un socio di riferimento, Mediobanca, debole in sé e in più a sua volta controllato – o almeno bloccato – da un primo azionista come Vincent Bollorè, lo stesso che ha scalato a due lire Telecom, col beneplacito della medesima Mediobanca, e ora sta seriamente appunto opzionando il controllo di Mediaset. Il contrappeso a Bollorè nell’azionariato di Mediobanca rappresentato negli ultimi vent’anni proprio da Unicredit appare sempre meno significativo, distratto com’è l’istituto guidato da Jean-Pierre Mustier da altre priorità.
L’attuale capo-azienda delle Generali, il francese Philippe Donnet, non è un “precursore” del colosso assicurativo transalpino Axa, da trent’anni desideroso “predatore” del gruppo triestino, in cui ha lavorato: ma certo conosce bene Bollorè, lo stima e ne è stimato, e negli ultimi tempi, in vari modi e per varie ragioni, è stato inquadrato da quel-che-resta dell’establishment finanziario italiano come un possibile cavallo di Troia per un take-over francese su Trieste. Donnet si è affrettato a smentire le ricorrenti voci di una fusione con Axa, ma i dossier con progetti che vanno in questa direzione ingombrano le scrivania delle società di analisi finanziarie e di advisoring finanziario. È anche circolata l’ipotesi di una vendita della divisione francese di Generali ad Allianz, che – eliminando in premessa le sovrapposizioni di mercato oggi esistenti in Francia tra Axa e Generali, con i relativi profili di trust – avrebbe spianato la strada alla fusione.
L’unico grande attore finanziario del mercato con quattro quarti di italianità e – grazie a vent’anni di gestione migliore della media del sistema – un’invidiabile solidità patrimoniale è Banca Intesa Sanpaolo. Ed è chiaro che un’avvicinamento tra Intesa e le Generali sarebbe l’unica mossa in grado di prevenire l’inevitabile assalto. Molti osservatori autorevoli di cose finanziarie italiane dicono che i soci di riferimento di Intesa, prima fra tutte la Fondazione Cariplo, ci stiano pensando. Qualcuno si spinge a dire che ci sarebbero stati già dei contatti esplorativi. Un matrimonio del genere sarebbe complesso e troverebbe senza dubbio l’opposizione di Mediobanca, che – com’è accaduto per Telecom – non sembra più in grado di costruire progetti strategici, ma può ancora silurare quelli altrui. Sta di fatto che i quasi 500 miliardi di asset nella pancia delle Generali, in buona parte risparmio italiano per 70 miliardi investito in titoli di Stato italiani, fanno troppa gola nel mondo per essere lasciati alla mercé dei “nuovi barbari”.
Nel frattempo – se si esclude lo stabile presidio del top-management rappresentato dal direttore generale del gruppo Alberto Minali – il vertice triestino non ha fatto altro negli ultimi tempi che aggiungere “francesità” alla propria fisionomia culturale. Pochi giorni fa è stato nominato un americano, Timothy Ryan, come capo degli investimenti (Cio): americano di passaporto, ma francese di provenienza e – guarda caso – di curriculum, visto che è stato nel vertice di Axa Investment Managers. In primavera un altro ex-Axa era entrato a Trieste col ruolo di capo della Global Business Lines & International: Frederic de Courtois.
Solo combinazioni? Solo ovvie conseguenze della provenienza di Donnet? Forse. Ma sono tempi di nervosismo e di rapporti tesi tra Italia e Francia.