Qualcuno sta scherzando con il fuoco ed è proprio il caso di chiedersi se non lo si stia facendo di proposito. Ieri, proprio nel primo giorno dell’aumento di capitale, è spuntata una nuova incognita sull’operazione di salvataggio privato di Mps. In una nota, l’istituto senese ha comunicato che il «17 dicembre 2016, Quaestio ha manifestato le forti perplessità e tematiche in merito al termsheet dei senior bridge loan riguardo cui la Banca ha già espresso il proprio gradimento, sottoscrivendolo». Mps precisa che «a seguito di tale lettera sono in corso con Quaestio approfondimenti al fine di individuare eventuali soluzioni alternative». Stando allo schema presentato al mercato nelle scorse settimane, la cartolarizzazione è un presupposto indispensabile per l’operazione di salvataggio e la sua messa in discussione potrebbe creare seri problemi.
Per Mps resta inteso che «qualora non si potesse addivenire a un positivo componimento delle tematiche indicate da Quaestio, l’operazione non potrebbe concludersi in conformità ai termini e alle condizioni dell’autorizzazione ricevuta dalla Bce che prevede obbligatoriamente la conclusione dell’operazione entro il 31 dicembre 2016». Il perché di questa perplessità, non da poco, è presto detto: l’intesa sul prestito ponte che assisterà l’acquisto della tranche senior è stato raggiunto alla fine della scorsa settimana, a condizioni però differenti da quelle attese. Sembra infatti che JP Morgan, Mediobanca, Credit Suisse e Hsbc abbiano messo a disposizione soltanto 4,65 miliardi invece dei 6 previsti inizialmente. Ripeto, qui si sta scherzando con il fuoco, tanto che ieri mattina il titolo di Mps non riusciva a fare prezzo a Piazza Affari ed è stato sospeso con un ribasso teorico dell’11,61%, stabilizzandosi poi – si fa per dire – a -5%. Il tutto, dopo che venerdì scorso l’istituto di Rocca Salimbeni ha ricevuto il via libera dalla Consob per l’aumento di capitale da 5 miliardi di euro, ulteriore tappa dopo la la conversione sui bond subordinati da parte del pubblico retail avviata la settimana scorsa.
Nella prima fase della conversione, Siena ha ricavato 1,028 miliardi di euro. Dalla seconda parte, in corso fino a oggi, la banca si attende poco meno di 2 miliardi. Ne resterebbero altri due da sottoscrivere, in fase di aumento. Ma, al netto dei tecnicismi dell’operazione finanziaria, vediamo numeri reali che tutti possono capire, tanto per dare un quadro del Titanic che risponde al nome di Monte dei Paschi di Siena. La situazione di incertezza in cui si trova il Monte ha infatti provocato un’emorragia di depositi dalla banca senese, con 6 miliardi di euro di “raccolta diretta commerciale” persi tra il 30 settembre e il 13 dicembre, “di cui 2 miliardi dal 4 dicembre 2016, data del referendum costituzionale”. È quanto emerge dall’aggiornamento del prospetto sull’aumento di capitale: i 6 miliardi si aggiungono ai 13,8 miliardi persi nei primi nove mesi del 2016, portando il saldo negativo a quasi 20 miliardi di euro. Tanto più che, nel motivare il suo no alla proroga dell’aumento di capitale di Mps, la Bce ha rilevato che «la situazione della liquidità della Banca si è andata progressivamente deteriorando fino a raggiungere, a valle del referendum del 4 dicembre, un orizzonte temporale di 29 giorni entro il quale la banca può far fronte ai propri fabbisogni di liquidità senza ricorrere a nuovi interventi».
Ma facciamo sempre più i conti della serva e andiamo a vedere quanti soldi ci sono nei conti correnti del Monte dei Paschi, basandoci sul prospetto di aggiornamento fornito proprio dall’istituto. Al 30 settembre 2016 erano 105.461,4 milioni di euro, di cui 6 volatilizzati negli ultimi giorni: siamo al massimo a 99 miliardi di euro della clientela, sotto forma principalmente di conti corrente. C’è però un problema ontologico del sistema bancario, ovvero la riserva frazionaria: Mps, come tutte le altre banche, non detiene realmente i soldi dei correntisti da qualche parte, poiché i conti correnti sono crediti della clientela (e non soldi della clientela, sono proprio prestiti che la clientela fa alla banca) liquidabili a pronti, mentre la banca presta i soldi a medio-lungo termine e ne presta più di quanti ne raccoglie, chiedendo a sua volta prestiti alla Bce e mettendo frazionalmente a garanzia i suoi assets. Quindi, se per caso qualcosa dovesse andare storto – e di possibilità in tal senso ce ne sono parecchie – con l’aumento di capitale affidato al mercato, cosa accadrebbe in caso di bank run, ovvero un’accelerazione degli spostamenti dei conti correnti e un calo ulteriormente marcato della raccolta dell’istituto?
Solitamente, quando ci si trova in condizioni così estreme, la banca chiude gli sportelli o ne limita l’operatività al fine di tutelare i depositi, a meno che non abbia alle spalle una banca centrale disposta a servire i correntisti. Entro certi limiti, la Bce ha un programma di supporto, tuttavia quando viene attivato significa che la banca è sotto una procedura straordinaria che non promette nulla di buono per gli investitori, non solo gli azionisti. Ora, facciamo informazione e non terrorismo: cosa rischiano i correntisti di Mps in caso di fallimento dell’aumento di mercato e ricorso al bail-in? Nulla. Il Monte ha un enorme mole di crediti inesigibili ma sono coperti, perché la banca ha anche una notevole quantità di obbligazioni subordinate (5 miliardi ) e una mole ancora più notevole di obbligazioni senior in circolazione, le quali devono essere toccate prima di arrivare ai conti correnti. Quindi non esiste la minima possibilità che vengano coinvolti i correntisti. Inoltre, Mps ha un utile operativo, quindi non è ancora una banca cosiddetta “zombie”: ha la possibilità di salvarsi attraverso un piano che preveda chiusura di sportelli e licenziamenti, unito a una riconversione della banca, certo un processo lungo e non facile ma pur sempre percorribile.
Resta un dato di fatto inoppugnabile: il caso Mps, il cui declino è cominciato anni e anni fa, è stato gestito male da ogni punto di vista e ora ci si ritrova coinvolti in una corsa contro il tempo. Oltretutto, prestando così il fianco anche a polemiche a livello europeo che certo non fanno bene al sistema bancario italiano. Quando restano tre giorni per salvare la banca con la soluzione privata e con il fondo del Qatar che ancora non ha svelato i piani, mantenendo opaco il suo ruolo di anchor investor (con un investimento per circa 1 miliardo), ecco che da un lato a Bruxelles sono in molti a storcere il naso su un eventuale intervento statale, mentre a Berlino – guarda caso – sono apertamente ostili. E il fatto che l’Italia sia politicamente debole dopo la caduta del governo di Matteo Renzi e il faticoso avvio dell’esecutivo di Paolo Gentiloni, non aiuta.
Non è certo un caso che domenica, con timing perfetto, sia intervenuto a gamba tesa uno stretto collaboratore di Angela Merkel. Christoph Schmidt, uno dei 5 saggi consiglieri economici della cancelliera tedesca non ha usato mezzi termini in un’intervista alla Westdeutsche Allgemaine Zeitung (Waz) riportata da Bloomberg: «Il salvataggio di Mps dovrebbe avvenire secondo le regole concordate, cioè i creditori della banca devono contribuire al soccorso, non il contribuente. Se l’Italia non rispetta le regole alla prima grande prova, l’unione bancaria non è credibile». Ora, al netto di questa ennesima, inaccettabile intromissione in vicende interne di uno Stato (formalmente) sovrano, un’accusa di questo genere pensate che non vada a incidere sull’umore – già non positivo – del mercato rispetto all’aumento di capitale di Mps? Perché mettersi in condizioni simili? Perché il governo Renzi ha speso sei mesi in campagna referendaria invece che risolvere la faccenda senza l’ansia che caratterizza questi ultimi giorni?
Ripeto, abbiamo e stiamo ancora scherzando con il fuoco di una situazione che era risolvibile, ancorché non con soluzioni indolore e adesso stiamo facendo il conto alla rovescia, pressati dagli investitori e anche dalla politica. Il peggio dell’Italia lo stiamo vedendo in questi giorni, la radice di ogni male: decenni di consociativismo declinati in quello che era un vero e proprio “sistema Monte” che adesso arrivano a chiedere il conto. E, ovviamente, visti i troppi interessi e le troppe commistioni in gioco, tutti si lanciano in uno scaricabarile generale: non lamentiamoci, a questo punto, se il mercato vorrà dire di no. E allora saranno dolori, perché il Tesoro dovrà metterci mano sotto il fuoco di sbarramento dell’Europa. La stessa Europa che in primavera ci bacchetterà per i conti. Auguroni.