È arbitrario voler individuare una connessione “di fatto” tra la crisi Alitalia, riesplosa dopo una prima euforia seguita all’ingresso nel capitale della compagnia emiratina Etihad, e la crisi del Monte dei Paschi di Siena: è arbitrario, ma suggestivo. Perché a neanche due anni e mezzo dall’ingresso degli arabi nel capitale di Alitalia col 49%, l’ex compagnia di bandiera italiana è ancora in una crisi finanziaria nerissima. Da cui potrà uscire solo grazie al fatto che le due principali banche finanziatrici, Unicredit e Intesa Sanpaolo, hanno accettato di convertire in capitale parte dei loro crediti, riaprendo alla società 180 milioni di linee di credito.



Di nuovo un salvataggio “di sistema”, dunque, che non cancella però le perdite della compagnia e – pro-quota – quelle degli arabi, che pur avendo finanziato il rilancio non sono stati posti nelle condizioni di gestire con la necessaria determinazione il difficile turnaround. Vischiosità normative, vecchi vizi sindacali, inquinamenti politici hanno trattenuto a bassa quota la redditività della compagnia. Che senza ulteriori trasfusioni finanziarie rischia nuovamente di fallire.



Se si aggiunge allo smacco degli investitori di Abu Dhabi in Alitalia quello dei soci arabi di Unicredit – il fondo Aabar, a sua volta di Abu Dhabi – chiamati a rifinanziare nuovamente l’istituto nell’aumento di capitale del momento, pari all’enormità di 13 miliardi di euro, è più facile capire perché oggi il mondo della finanza araba è prudente sull’Italia. Certo, il Qatar – che non ha voluto investire nel Monte dei Paschi di Siena – è distante dagli Emirati arabi uniti, ma la cultura e la sensibilità, pur tra molte differenze, hanno numerosi punti di contatto. E si passano parola. E qual è il comun denominatore per gli arabi su questi investimenti italiani, Alitalia e Unicredit? Ma naturalmente lui, Luca Cordero di Montezemolo, che dal punto di vista degli arabi – per carità, soltanto dal loro – rischia di diventare sinonimo di cattivo affare. E si sa che i bidoni agli arabi piacciono solo se pieni di petrolio.



Resta il fatto che per Alitalia si profila una cura da cavallo. È evidente che un’espansione di mercato tale da moltiplicare i ricavi profittevoli non c’è stata, anzi l’andamento è stato peggiore delle più caute aspettative; e che è sui costi che bisogna agire. Riducendoli ai livelli delle compagnie low-cost, le uniche che oggi sia pur poco guadagnano. Ce la farà, la nuova gestione che da ieri si è insediata in Etihad, dopo l’uscita di James Hogan, a imprimere una simile svolta? Ha avuto l’ok dal consiglio d’amministrazione, rinnovato dalla partecipazione di Federico Ghizzoni, ex amministratore delegato di Unicredit in rappresentanza del suo ex istituto, e di Gaetano Miccichè, presidente di Banca Imi (Intesa Sanpaolo). Ora si tratta di negoziare i tagli. 

“Ogni volta che si fa un accordo e si evita una crisi siamo soddisfatti”, ha prudentemente detto ieri il ministro dei Trasporti Graziano Delrio, sottolineando che tuttavia “restano problemi da affrontare in modo strutturale”, perché “quando si soffre così si deve fare un’analisi e serve un nuovo piano industriale. Per ora non abbiamo visto il nuovo piano, abbiamo solo discusso le direttrici. È evidente che serve una strategia di sviluppo diversa”. 

Forse un’alleanza con RyanAir, che sembrava profilarsi perché il capo della low-cost più famosa del modo, Michael O’ Leary, ha avuto un incontro con i vertici di Alitalia? Forse: anche se è come se il Povero venisse chiamato in soccorso dal Ricco, e ci andasse, per quanto oggi forse il vero Povero è il Ricco, e viceversa. Intanto una linea di tendenza Cramer Ball, amministratore delegato di Alitalia su designazione di Etihad, l’ha indicata: “È di vitale importanza che il personale della Compagnia e i principali stakeholder, quali i partner commerciali, i fornitori e i sindacati, accettino e facciano propri i cambiamenti radicali di cui abbiamo bisogno. Solo così potremo ottenere un successivo e significativo finanziamento da parte degli azionisti, senza il quale Alitalia non avrà futuro”. Insomma, la ristrutturazione è in arrivo e stavolta non farà sconti a nessuno.