Un Consiglio dei ministri una domenica sera del novembre 2015, un altro alla vigilia del Natale 2016. Al centro del tavolo due banche toscane in dissesto: allora l’Etruria (con tre consorelle regionali); oggi Mps (e sempre Luca Lotti e Maria Elena Boschi a presidiare le operazioni a Palazzo Chigi, ndr). Ora come allora, l’intento del governo di rendere il più possibile ordinato un processo di per sé rischioso economicamente e traumatico sul piano sociale come un fallimento bancario.
L’anno scorso il costo delle quattro risoluzioni bancarie (oltre all’Etruria la BancaMarche, la CariFerrara e CariChieti) è stato pagato dal sistema bancario: UniCredit e Intesa Sanpaolo in testa, gli altri gruppi a scalare. Soldi, purtroppo, andati in fumo: Ubi Banca – pronta a rilevare tre delle quattro good banks ristrutturate – difficilmente verserà un solo euro a fronte degli oltre due miliardi di euro iniettati a fine 2015 per tenere a galla le banche risolte. Più facilmente chiederà di poter acquisire le tre good banks dopo un ulteriore cura ricostituente di capitali freschi.
Non sta andando diversamente per Popolare di Vicenza e Veneto Banca, ricapitalizzate da Atlante con 2,5 miliardi: il fondo salva-credito vi impegnerà almeno un altro miliardo per mantenere le due Popolari a galla, secondo i dettami della Bce. Anche in questo caso altri capitali rapidamente divenuti “a fondo perduto” (con relative perdite per le banche, fondazioni, assicurazioni che vi hanno investito).
Su Mps, salvo colpi di scena, i capitali-salvagente li metterà lo Stato, dopo l’insuccesso dell’aumento di capitale ufficializzato ieri sera. Il conto lo pagheranno direttamente i contribuenti (non più, indirettamente, i depositanti). Problematiche Ue a parte, si tratta di un punto d’arrivo, di un bottom. Come ha detto ieri il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli: “Le banche non sono più in grado di salvare le banche”; oppure – come ha lamentato già due mesi fa il leader dell’Acri, Giuseppe Guzzetti: “Se potessi tornare indietro non farei partecipare le Fondazioni ad Atlante”.
Anche il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, avrebbe probabilmente fatto a meno di attendere sei mesi (o forse anche di più) per mettere in sicurezza Mps (i casi Etruria e Mps hanno peraltro buna probabilità di rivelarsi i colpi sotto la linea di galleggiamento del cursus politico di Matteo Renzi, ndr). Ora, tuttavia, Padoan e il premier Paolo Gentiloni si ritrovano davanti, immodificata, la “selva oscura” nella quale già un anno fa iniziò a perdersi Renzi.
Il pensionato di Civitavecchia suicida dopo aver perso tutti i suoi risparmi nel falò dei bond subordinati di Banca Etruria è costato al premier forse più di tutti gli eccessi del ministro Boschi nel difendere se stessa e i suoi familiari da ogni sospetto di coinvolgimento. Al fallimento del Renzi uomo di governo (il non aver salvato la banca) si è accompagnato quello del Renzi uomo politico (non aver previsto e poi gestito il sisma del “risparmio tradito”: la “sindrome Parmalat” che 13 anni dopo il crac Tanzi sta tenendo M5S oltre il 25% nei sondaggi).
Come minimizzare i danni per i 40mila portatori di obbligazioni subordinate di Mps? Questi ultimi avevano “fatto il loro dovere” aderendo in misura massiccia alla proposta reiterata di conversione dei loro titoli in azioni del “nuovo” Monte. Nessuno, tuttavia, li ha seguiti sul mercato: a cominciare dalla Qatar Investment Authority. Così ora, per il governo italiano, ricapitalizzare Mps non sembra un problema molto superiore al “rendere inesistenti” le perdite sul monte di 2,6 miliardi di risparmi che le filiali di Mps hanno indirizzato nel 2008 al finanziamento dell’acquisizione di AntonVeneta.
Il frettoloso dilettantismo di Renzi, un anno fa, ha creato solo insidiosi precedenti. “Rimborseremo tutti”: non è avvenuto, non poteva avvenire per i 10mila obbligazionisti subordinati delle quattro banche risolte. Nel frattempo si sono aggiunti i 200mila soci delle Popolari venete, entrambe con il capitale azzerato. Ora i 40mila di Mps (sperando che non vi siano problemi per i depositanti over 100mila euro). Il “fallimento esemplare” in Europa ha buone chance di fare da banco di prova per la definizione di liste più o meno sommarie di “sommersi e salvati”. Chi merita tutela pubblica per i propri investimenti di mercato su titoli ad alto rischio, collocati agli sportelli della stessa banca come impiego ad alto reddito e di tutto riposo? Come distinguere fra chi veramente “ha perso tutto in buona fede” e chi nasconde dietro lo status di “investitore individuale” una puntata speculativa, forse collegata ad altre transazioni con la stessa banca? Perché l’azionista della Popolare di Vicenza deve essere punito al 100% e il quasi-azionista di Mps deve essere protetto e rimborsato?