L’interventismo politico nell’economia è uno dei mali assoluti dell’Italia. Il nostro Paese è stato spesso vittima di una classe politica che non è in grado di gestire l’ordinario, ma che è però in grado di provocare lo straordinario per le aziende pubbliche: perdite straordinarie. Gli interventi su Telecom Italia, Mediaset o la gestione di Atac sono tutti figli della stessa cultura politica. Dietro “l’interesse nazionale” si cela la volontà politica di volere controllare direttamente delle aziende pubbliche da parte di un determinato politico.
La memoria corta fa evidentemente brutti scherzi. Chi non si ricorda dei circa 7 miliardi di euro bruciati dall’Alitalia pubblica? Chi non si ricorda di 6,3 miliardi di euro in 7 anni pagati dai contribuenti per mantenere viva Atac? Le aziende pubbliche sono uno dei mali dell’Italia, ma sembrano dimenticarselo, purtroppo, troppi partiti politici, sottosegretari alle Telecomunicazioni o movimenti pentastellati.
Recentessimo è il caso della scalata “ostile” da parte di Vivendi nei confronti di Mediaset. La logica di mercato è chiara: andare verso un grande gruppo di tlc e media anche in Italia. In questa ottica è logico che anche la stessa Telecom Italia possa giocare un ruolo essenziale. Se andiamo infatti a vedere quello che il mercato digitale ci sta indicando, non è che si evidenzi una particolare necessità di avere grandi nazionalizzazioni o separazioni tra il settore tlc e quello media. Anzi, la direzione è esattamente opposta. Come insegna il caso di AT&T, che con 85 miliardi di dollari, sta conquistando Time Warner, è necessario andare verso l’integrazione tra attori tlc e media.
Non può essere differente nel momento in cui il mercato è sempre più concorrenziale sia in termini verticale che orizzontale o geografico. Verticale, nel senso che la concorrenza dei grandi operatori internet è sempre più forte e difficile, ed è per tale ragione che la battaglia si sta facendo sui contenuti. Google, il primo competitor di questo mercato digitale, possiede Youtube, ma anche Amazon sta creando il suo servizio con contenuti inediti. Quindi la convergenza non solo è “naturale”, ma è anche necessaria.
C’è da chiedersi a questo punto cosa rimane del famoso “interesse nazionale” e soprattutto perché esiste a corrente alternata. Su questo è interessante la posizione del Movimento 5 Stelle, per il quale Telecom è strategica, Mediaset no, mentre Atac lo è nei fatti. In realtà, l’interesse nazionale dovrebbe essere quello di avere concorrenza e di non avere spreco di denaro pubblico (come succede, ad esempio, in Atac). Una concorrenza che permetta una diminuzione di prezzi e una maggiore scelta per il contribuente e che al tempo stesso lo Stato non intervenga come imprenditore (tipico spreco di denaro pubblico).
La domanda legittima da porsi è dunque se la concentrazione nel settore dei media e tlc porti a una situazione nella quale vi sia un danno per il consumatore. Non è così immediato rispondere, ma bisogna capire che i nuovi confini di questo mercato digitale sono molto più ampli. Se la concorrenza arriva da Google o da Amazon, è bene che il regolatore comprenda che il mercato è molto più vasto. Non c’è solo la concorrenza tra Netflix e Time Warner, ma anche quella tra Google e gli operatori tlc. Un mercato immenso.
Al tempo stesso, l’ottica è ormai globale, non europea e neppure nazionale. Il mercato unico digitale ha anche confini geografici molto estesi e sarebbe bene capire che i veri competitor in questa partita globale sono i player cinesi che hanno numeri e potenzialità di crescita che in Europa e Stati Uniti non abbiamo. Tutto questo succede mentre in Italia il politico o il comico di turno continua a perpetrare il male italiano: l’interventismo pubblico alla Alitalia.