No, non è stata la soluzione migliore e certamente non è finita qui. L’intervento dello Stato nel Monte dei Paschi di Siena tampona una crisi, non la risolve. Lo riconosce lo stesso amministratore delegato Marco Morelli quando dice al Sole 24 Ore che adesso “c’è più tempo per un vero rilancio”. Con 20 miliardi attinti emettendo nuovi titoli, quindi aumentando il debito pubblico, il Tesoro consente di ripristinare la liquidità del Montepaschi che si stava esaurendo e di rimpinguare il capitale così come richiesto dalla vigilanza europea. La banca, tuttavia, non potrà distribuire dividendi, né fare acquisizioni; due divieti corretti, ma che da soli mostrano un’amara realtà: dal punto di vista operativo si trova in una gabbia le cui sbarre potranno essere aperte solo in un futuro non prevedibile.



Il rilancio, infatti, passa per un cambiamento del modello creditizio che Mps ha seguito finora. Il primo macigno da intaccare riguarda le sofferenze: se la banca vuole tornare a essere solida ed efficiente deve liberarsi di 45 miliardi di euro. Non sarà facile decidere come collocarli, a quale prezzo, con quali perdite. E qui si tocca la grande ferita che ancora sanguina. Perché è saltato il salvataggio di mercato? Perché nessuno ha voluto investire? Lo stesso Corrado Passera si è fatto avanti senza poter vedere le carte e quando lo ha chiesto gli hanno detto di no, che era fuori tempo massimo. Il tentativo di JP Morgan e Mediobanca è caduto insieme a Matteo Renzi, probabilmente perché veniva a mancare la copertura politica, ma in ogni caso, dopo tanti tira e molla, si sono ritratti i cinesi e il fondo sovrano del Qatar.



Insomma, ci voleva un bel coraggio per entrare in Monte dei Paschi di Siena; il rischio è grande anche per la natura quanto meno anomala di quei prestiti deteriorati, segno di un modo patologico non fisiologico di esercitare “l’arte del banchiere”, come la chiamava Luigi Einaudi. Le implicazioni politiche e sociali sono apparse eccessive a qualsiasi investitore privato guidato da una pura logica economica. Ma attenzione, se l’intervento pubblico significa coprire quelle pesanti anomalie e non sanarle, allora il Montepaschi alla lunga non sarà salvo, il messaggio lanciato all’intero sistema creditizio diventerà presto negativo e Pantalone avrà imbrogliato i contribuenti.



Il ritorno dello Stato in banca è una eccezione o la nuova regola? Non è facile rispondere. I 20 miliardi a debito, del resto, non servono solo a Monte dei Paschi di Siena. Bisogna vedere, intanto, come reagirà il mercato nel medio periodo. La condivisione dell’onere, poi, non sarà indolore, e conserva un’area grigia ancora da chiarire. Come e a chi sarà offerta la conversione a nuove obbligazioni non subordinate, solo ai risparmiatori al dettaglio o a tutti? Tra questi ci sono le Assicurazioni Generali che possiedono bond per circa 400 milioni di euro: perderanno tutto o quasi? Il Tesoro garantisce chi ha sottoscritto il titolo subordinato 2008-2018 per un valore nominale di due miliardi (su 4 miliardi di titoli da convertire) che servì per acquistare Antonveneta. Si tratta di circa 40 mila risparmiatori. Siamo sicuri che fossero tutti “ignari” e che ci sia stato un “misselling” di massa? Oppure si sta chiedendo agli altri contribuenti di pagare per i “pentiti” del rischio? I senesi verrebbero privilegiati, in base a quale criterio? Il diavolo è nei dettagli e di dettagli complicati ce ne sono tanti.

Bisognerà vedere, poi, se scatterà una sorta di reazione a catena. Intanto la garanzia del Tesoro vale anche per quattro banchette del Centro Italia risolte. Poi c’è Atlante azionista unico della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, anch’esse alla prese (in particolare la banca vicentina) con una gestione del credito non molto diversa da quella senese. Oggi le banche e le compagnie di assicurazione che hanno finanziato il fondo tirano un sospiro di sollievo, ma il Tesoro rischia di dover aprire a dismisura il suo ombrello. In lista d’attesa c’è Carige (la Cassa di risparmio genovese dove la famiglia Malacalza è l’azionista principale). E chi altro ancora? L’elenco è lungo perché il Montepaschi è solo il caso più grave e clamoroso di un malessere profondo che ha colpito l’intero sistema creditizio.

La situazione attuale è la convergenza di tre crisi: congiunturale (la lunga recessione), strutturale (le banche italiane sono troppe, troppo piccole, troppo arretrate), politica (sia nel senso di politica del credito, di rapporto con il territorio, con le imprese e le famiglie, sia perché è ancora troppo forte il peso esercitato dalla politique politiciénne). Il governo non può diventare di nuovo l’azionista di riferimento (non deve farlo e comunque non ne sarebbe in grado); invece dovrebbe usare gli strumenti che ha a disposizione (compresi gli ammortizzatori sociali) per favorire la grande ristrutturazione del sistema bancario italiano.