Due domande cruciali, incredule e amareggiate, s’impongono, dopo la lettera con cui la vigilanza bancaria europea della Bce ha innalzato da 5 a 8,8 miliardi di euro l’ammontare della ricapitalizzazione prescritta per il Monte dei Paschi di Siena.
La prima domanda: come possono restare al loro posto gli attuali vertice di Mps, che ancora fino al 20 dicembre scorso (otto giorni fa!) hanno ripetuto, come un disco rotto, di avere la possibilità di trovare i capitali sul mercato finanziario e senza aiuti statali?
La seconda: come possono il governo italiano e la Banca d’Italia lasciare solo Antonio Patuelli, il presidente dell’Abi, a esprimere – peraltro flebilmente – la “sorpresa” del Paese per i criteri adottati dagli sceriffi della Bce su Monte dei Paschi?
Riepiloghiamo la vicenda, usando non toni forti – né grillini, quindi, né leghisti – ma semplicemente le parole necessarie per capirne la gravissima portata, economica e soprattutto politica.
La Bce – la cui vigilanza bancaria è retta non da Mario Draghi (purtroppo), ma da una sorta di Erinni del credito, la signora Danièle Nouy, che non è mai stata eletta da nessuno, e non ha mai lavorato in un’azienda bancaria, bensì sempre soltanto in Banca di Francia – aveva prescritto al Monte dei Paschi di Siena di fare un aumento di capitale da 5 miliardi, tra nuove risorse da immettere o minori debiti da rimborsare (da cui la conversione volontaria delle obbligazioni subordinate proposta agli obbligazionisti) nella scorsa primavera.
A settembre si era saputo – non per iniziativa spontanea dei vertici del Monte dei Paschi di Siena, in particolare il presidente Alessandro Falciai e l’amministratore delegato Marco Morelli – che i superispettori della medesima Bce erano al lavoro a Siena per un’ulteriore verifica contabile. La verifica era finita e i controllori erano tornati alla base senza rivelare nulla sui loro riscontri, e senza che i capi del Monte comunicassero nulla al mercato.
Intanto, però, continuavano a cercare soldi per arrivare a quei famosi 5 miliardi di euro prescritti dalla Bce. Senza peraltro riuscirci: i 250 investitori incontrati da Morelli gli hanno tutti risposto picche, preoccupati probabilmente di quel che è avvenuto ieri e che il management non aveva previsto o, peggio ancora, non aveva voluto prospettare nemmeno come rischio.
Ora, immaginiamoci cosa sarebbe accaduto se invece ci fossero riuscito, a trovare dei soldi, se per esempio l’emiro del Qatar avesse avuto davvero l’anello al naso che qualcuno immaginava lo adornasse e avesse deciso di spenderlo, quel miliardo (minimo) di euro che avrebbe dovuto investire per salire a bordo di Mps come “anchor investor”. Sarebbe accaduto che nel giro di pochi giorni molti obbligazionisti avrebbero convertito i loro bond in azioni, che la quotazione del Monte dei Paschi di Siena si sarebbe ripreso, che delibere societarie vincolanti sarebbero state approvate…il tutto su un dato di riferimento infondato, falso! Innescando una catena di contrordini, conflitti e ricorsi senza fine!
A fronte di una simile debacle, davvero come può Marco Morelli, amministratore delegato del Monte, restare dov’è? Come mai non aveva previsto quel che la Vigilanza europea ha sentenziato? Come non parlare, se non altro in termini di rischio, al mercato? E con Morelli come possono restare in carica gli altri amministratori del Monte?
Ma intanto, al governo, come può il ministro Pier Carlo Padoan – che pure aveva controfirmato ancorché di malavoglia il blitz dittatoriale dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi che ha imposto al Monte prima la JpMorgan, con l’inutile affiancamento di Mediobanca, come advisor per l’aumento di capitale e poi Morelli, al posto del valido Fabrizio Viola – restare anche lui dov’è? Senza neanche aver preso posizione contro la Vigilanza Europea? E oltretutto avendo controfirmato la cieca linea dilatoria di Renzi, che dapprima ha straparlato di inesistenti risanamenti del Monte e poi ha evocato gli stregoni di JpMorgan nella maldestra ricerca di una inverosimile miracolistica soluzione di mercato che desse maggior gloria a lui e maggiori commissioni agli americani…
Cos’altro può temere, il governicchio post-renziano, ridotti al punto in cui siamo, spinti all’umiliazione istituzionale in cui il Paese viene spinto da quest’organismo burocratico, e non politico, della vigilanza bancaria europea che si permette di sbugiardare in un colpo solo la banca in questione, la Banca d’Italia e il governo? Tutto è perduto, ma se non si risponde si perde anche l’onore!
La vigilanza ha riscritto il fabbisogno del Monte perché ha deciso di applicare ad esso i criteri adottati tre anni fa alle banche greche a rischio default, nel quadro della complessiva trattativa tra il governo di Atene e Bruxelles che ha condotto al passaggio della Grecia sotto la vigilanza della trojka: Commissione Europea, Banca Centrale europea, Fondo monetario internazionale. L’Italia è tutt’altro che in quelle condizioni, di trojka non si parla, la finanziaria per il 2017 è appena stata approvata dal Parlamento dopo il primo “via libera” di Bruxelles: come si permettono di applicare al Monte gli stessi criteri adottati per le quattro principali banche di un Paese fallito? E nessuno che glielo urli in faccia? Che minaccia da parte dell’Italia tutte le ritorsioni che un Paese dell’Eurozona ha il diritto di minacciare se si vede conculcare la sua sovranità?
Sempre più il Monte dei Paschi di Siena assume le sembianze della “colonna infame” del declino italiano, sempre più è il riflesso di un intreccio impotente e fallimentare di insipienza politica e governativa e irresponsabilità gestionali.
Ora, come sempre capita ai vinti, non resta che chinare la testa e obbedire. Lungi dallo spendere 4,5 miliardi, tra nuovi capitali e rimborsi degli obbligazionisti, lo Stato dovrà spenderne 6,5, di quei venti stanziati dal decreto salvabanche, e non c’è niente da fare.
Un governo autorevole e coraggioso, però, dovrebbe e potrebbe denunciare i vizi logici e democratici del meccanismo di funzionamento dell’Unione bancaria europea – visto che oltretutto è ancora sperimentale –sottraendosene unilateralmente con un gesto politicamente provocatorio ma lecito e che ad oggi – come ricordava Patuelli – i contribuenti italiani sono stati (erano stati!) gli unici d’Europa a non aver mai sostenuto alcun costo per ripianare perdite di bilanci bancari: a differenza, per esempio – ma gli esempi potrebbero essere tanti – di quanto è capitato ai tedeschi, con i 280 miliardi di euro spesi dall’erario di Berlino negli anni post-crisi per tenere in piedi le sue banche.
Niente, nessuna reazione di spessore. Ma davvero questo schiaffo della Neuy è l’estremo oltraggio e non dovrebbe restare senza repliche. Né Siena senza schiaffi.