«Andiamo a votare non con convinzioni sulla riforma costituzionale, in realtà, ma con il timore che la nostra situazione economica, che come noto è precaria, in particolare per le banche, degeneri». Lo sostiene Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, che parla di una situazione «assurda» rispetto all’appuntamento del referendum di domani. «Il vero problema è che il capo del Governo per trovare una soluzione, che esiste, dovrebbe negare ciò che è andato affermando in questi due ultimi due anni, cioè che il Paese va bene».



In che senso Professore?

Renzi dovrebbe ricordare che il problema delle banche nasce anche da un crisi di cui lui non è certo l’origine, ma che non ha aiutato a superare. Dovrebbe dire che ciò che ha fatto, a partire dal Jobs Act, ha stravolto il quadro sociale del Paese, come il Censis ha fatto notare. Questo ovviamente sarebbe politicamente poco digeribile. Ma il punto è che noi non usciamo da questo problema se il Paese non si riprende davvero. 



Proprio l’altro giorno abbiamo visto però dati economici positivi…

Siamo veramente ancora nella migliore delle ipotesi in una situazione di “germoglio” di crescita, ma non di più. Qualcuno dovrebbe spiegare per quale motivo questa riforma costituzionale darà una spinta alla ripresa economica del Paese. Se uno ci si mette di buzzo buono, il meglio che può dire è che potrà dare negli anni futuri dei risultati, ma non si sa nemmeno bene di che tipo. Non certo dei risparmi.

Si dice che il Sì aiuterà gli investimenti stranieri.

Dato che parliamo di conseguenze economiche va detto che i mercati non sono certo interessati alla Costituzione di un Paese, ma vogliono certezze sui rendimenti dei loro investimenti, il resto non conta. Occorre riconoscere quindi che la questione del voto è stata più che drammatizzata. Per quanto riguarda gli investimenti stranieri, di quali stiamo esattamente parlando? Perché in questi anni ne abbiamo già avuti: a Milano il nuovo quartiere Garibaldi è in mano ai fondi sovrani arabi, la Pirelli è stata comprata dai cinesi, come l’Inter e il Milan. Ogni tanto scopro che qualche società che conosco è stata acquistata da qualche fondo estero. Gli investimenti reali sono però tutt’altra cosa.



Ovvero?

Sono quelli di un’azienda che viene per aprire un nuovo stabilimento. Ma dubito che arrivino se la più grande industria italiana, la Fiat, ha preso e si è spostata all’estero, con tutti i vantaggi fiscali che ha preso in passato. Gli investimenti che abbiamo visto finora se va bene evitano tagli occupazionali o pre-pensionamenti, ma non creano nuovo lavoro. Non mi spiego perché un investitore straniero dovrebbe comprare Italia. Non lo fa ora che le banche sono a prezzi “di saldo”. E poi perché la vittoria del Sì darebbe più tranquillità agli investimenti? È questo il senso della Costituzione? 

Forse Professore la vittoria del Sì eviterebbe un’instabilità e un’incertezza che, si vede anche nel caso delle banche, frenano e lasciano “in stand by” le decisioni degli investitori…

A questo punto però non si voterebbe sulla Costituzione, come dicevo all’inizio, ma solo sulla supposizione che senza Renzi o dopo di lui ci sarebbe il diluvio. Guardi però che una cosa che ho imparato in tutti questi anni è che nessuno è indispensabile. Se non ci sarà Renzi, ci sarà qualcuno. Ci penserà Mattarella. E se vogliamo dirla tutta, ci sono strade per cui il Governo potrebbe intervenire in aiuto delle banche, solo che una scelta del genere richiede un lavorio politico, un atteggiamento diverso anche nei confronti di Bruxelles.

La vittoria del Sì dunque non serve a migliorare l’economia?

Poniamo il caso che lunedì mattina ci svegliamo con la vittoria del Sì. Ma cosa cambia? Se il vero problema è quello bancario, l’abolizione del Cnel, la centralizzazione dei poteri dalle Regioni allo Stato in cosa aiuta? A me risulta difficile capirlo. Se vince il Sì, i 360 miliardi di crediti deteriorati non scompariranno. Le vere soluzioni per la questione bancaria implicano dei sacrifici. 

 

In che senso scusi?

Ci saranno comunque sacrifici da fare. La soluzione meno traumatica, quella della bad bank, comporta un costo di cui dovrebbero farsi carico i contribuenti. Quale che sia poi il risultato del referendum c’è una questione molto più seria.

 

Quale?

I media mainstream quasi non ne parlano, ma c’è un pericolo incombente per l’Europa, e quindi anche per l’Italia: le elezioni austriache. Che vinca il Sì o il No alla riforma costituzionale, se lunedì mattina scoprissimo che in Austria ha vinto Hofer, che vuole indire un referendum anti-europeo, allora sarebbero guai. I non performing loans a quel punto diventerebbero una “questione secondaria”.

 

(Lorenzo Torrisi)

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