I pesanti cali in Borsa che stanno caratterizzando le ultime quotazioni di Banco Popolare e di Bpm, alla vigilia dell’esordio della nuova banca nata dalla fusione, così come le vendite che stanno accompagnando l’ingresso di Ubi in tre delle quattro good bank in risoluzione da un anno abbondante (Popolare dell’Etruria, Banca Marche e Cassa di Chieti) confermano, caso mai ve ne fosse bisogno, il profondo scetticismo che circonda gli sforzi del sistema bancario italiano di riemergere dalla crisi. In particolare, ben pochi pensano che il tracollo di Monte Paschi rappresenti un caso isolato di cattiva gestione o condotta criminosa. Non è, ahimè, uno scandalo legato a una perversione criminale, bensì il frutto di un andazzo di sistema che la classe dirigente, sia politica che tecnica, ha sopportato, anzi protetto e nei momenti chiave autorizzato, avallando la pessima fama di cui oggi gode il credito di casa nostra.
Una sorta di condanna che è piovuta sulla testa del povero Paolo Gentiloni che, di fronte al salasso di 8,8 miliardi imposto da Francoforte, si limita ad auspicare “una dialettica feconda con la Bce, altrimenti sarà più difficile il percorso di risanamento di Mps”: parole di un debitore, non di un partner fondatore della banca centrale, per giunta diretta da un banchiere italiano. Le sue colpe sono solo “oggettive”, perché mai si è occupato di banche fino a pochi giorni fa. Lo stesso non vale per il ministro Pier Carlo Padoan, a cui si devono alcune delle più bizzarre e involontariamente comiche dichiarazioni sulla “soluzione di mercato” per l’istituto. Un conto è voler evitare il panico, altro diffondere false speranze come hanno fatto politici e banchieri divulgando voci false sull’interesse (che non c’era) del modo finanziario internazionale. È stato un atteggiamento scandaloso, ai limiti del reato di turbativa di mercato (cosa diranno gli investitori che hanno comprato titoli nell’attesa di Soros?). E di questi merita parlare perché, come dicevano gli antichi padri, “oportet ut scandala eveniant”. Non sprechiamo l’occasione, dunque.
Molte parole sono già state dette e scritte per raccontare gli ultimi, incredibili e goffi mesi che hanno condannato la banca più antica del mondo. Non sono mancate le diagnosi corrette e oneste, ma, sia nelle dichiarazioni dei politici che nelle cronache dei giornali, aleggia sempre il pregiudizio che, tutto sommato, è colpa di quei rompiscatole di tedeschi, che hanno fatto irruzione nel migliore dei mondi possibile. Quello, per intenderci, in cui le banche popolari emettono azioni per poi piazzarle presso la clientela, lontano dalle scomode lenti delle Borse. Anzi, nella vulgata dell’ignoranza crassa dei risparmiatori italiani, si è potuta persino spacciare la mancanza della quotazione come una prova di salute, lontano dalle manovre dell’orrida finanza che specula. Si è così montato un circuito vizioso, tra Vicenza e Montebelluna, che ha consentito di spacciare per buoni titoli malandati ma protetti dalle perizie di professori della Bocconi che, nelle loro stime, non si sono rivelati più seri e onesti degli imbonitori delle tv private.
Il sistema ha raggiunto vette inimmaginabili a Siena. Certo, il titolo in questo caso è sempre stato trattato in Borsa, in compenso il ruolo della politica locale e nazionale è stato così pervasivo da far impallidire il clientelismo più sfacciato. Nel silenzio ossequioso delle istituzioni. Racconta un testimone che solo dopo l’acquisto di Banca Antonveneta i vertici di Mps scoprirono con sgomento che la banca padovana fino a quel momento aveva fatto riferimento alla liquidità di Abn Amro, l’istituto di controllo: perciò, invece di contribuire con la propria cassa alle esigenze della nuova capogruppo svenata per il folle acquisto, l’istituto assorbì fin da subito nuova liquidità. Come hanno fatto in Banca d’Italia a non accorgersi di una follia del genere?
Oggi il ministro Padoan invoca punizioni esemplari per i manager colpevoli e che per ora dormono tranquilli tra guanciali d’oro. Ma corre il sospetto che, passata la prima emozione, tutto torni come prima perché le complicità, le connivenze e gli errori sono troppo profondi, radicati e condivisi. Come si fa a condannare chi ha deciso la vendita dei bond Mps al pubblico quando la Consob è tutto sommato la stessa che autorizzò il collocamento agli sportelli? E che dire della strategia di privilegiare il rapporto diretto con i risparmiatori cui piazzare obbligazioni invece di sviluppare, come avviene in tutto il mondo, un mercato fatto di professionisti?
Fermiamoci qui, ma almeno taccia chi (quasi tutti) ha sostenuto fino a pochi mesi che il sistema bancario italiano era sano. Con un’eccezione: le sparate dell’ex premier Matteo Renzi contro “la Merkel che farebbe bene a pesare ai guai di Deutsche Bank invece che pensare a noi”, andrebbero riprese in qualche spettacolo, come merita un Paese che rischia di promuovere al capo del governo un comico per aver tollerato troppe uscite degne di un guitto.