Oggi sarà un giorno decisivo per le sorti dell’Europa. Ma non mi riferisco solo al referendum costituzionale a cui saranno chiamati gli elettori italiani. Certamente questo è l’appuntamento più importante del giorno, poiché i poteri finanziari si sono già sbilanciati sui media nel ritenere la vittoria del Sì (e quindi l’accettazione delle modifiche alla Costituzione italiana ottenute con un voto di fiducia dal governo) come una riforma utile alla rottamazione della burocrazia e quindi a rendere l’Italia un Paese più appetibile per gli investimenti. Proprio tali esternazioni di soggetti finanziari (banche e istituti di rating finanziario di diverso tipo) hanno pure fornito diverse ragioni ai sostenitori del No. Giustamente questi affermano che gli interessi degli investitori stranieri non sono quelli degli italiani.
Ma c’è un’altra delicatissima elezione che si svolge sempre oggi: si tratta dell’elezione del presidente dell’Austria. Il candidato favorito è Norbert Hofer, del Partito della libertà (Fpo), lo stesso partito di Heider, deceduto in circostanze misteriose (la sua auto sbandò e uscì di strada su un rettilineo). Queste elezioni sono la ripetizione di quelle svoltesi ad aprile ma annullate dall’Alta Corte austriaca per le palesi irregolarità svoltesi negli scrutini dei voti dei residenti all’estero. Le irregolarità sono state riscontrate in 94 seggi su 117 e hanno portato all’annullamento di quelle elezioni e alla loro ripetizione, anche in considerazione del fatto che le irregolarità avevano favorito il suo avversario e che Hofer aveva perso per poche migliaia di voti.
La gravità, per l’Europa, di una vittoria di Hofer non risiede solo nel fatto che viene considerato un ultra-nazionalista di destra, ma soprattutto nel fatto che egli esplicitamente ha già mostrato grande contrarietà per la gestione degli immigrati fatta dall’Ue e ha caldeggiato la possibilità di un referendum (qualora venisse eletto) sull’uscita dall’Europa. Inoltre, Hofer ha pure affermato che ha intenzione di chiedere l’ingresso dell’Austria nel gruppo di Visegrad, di cui fanno parte Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia. Questo gruppo si era costituito nel 1991 per fronteggiare insieme, come un blocco unico, la scelta di aderire all’Ue e tutte le questioni internazionali. Poi prevalsero invece i trattati svolti singolarmente, ma l’accordo di Visegrad rimase comunque la base per diverse collaborazioni sul piano culturale. I quattro paesi aderirono all’Ue insieme nel 2004, ma solo la repubblica Ceca ha adottato l’euro.
Ora, dopo lo scoppio del problema dei migranti e della loro gestione a livello europeo, i quattro paesi hanno trovato nuove ragioni di unità e di gestione comune del problema. Così il gruppo di Visegrad è diventato il riferimento per il rifiuto presso l’Ue di una gestione degli immigrati ritenuta penalizzante. La minaccia sottintesa è quella di lasciare l’Ue, se non diminuiranno le quote di immigrati a loro assegnate. Del resto, è davvero agghiacciante come l’Ue tratti con disinvoltura la gestione di milioni di immigrati a tavolino, come se non fosse una tragedia umanitaria immane e senza precedenti.
Ora, la richiesta di Hofer di adesione al gruppo di Visegrad, in caso di vittoria alle elezioni, non è solo un fattore della campagna elettorale interna all’Austria. Rischia di essere un elemento detonante per la stessa esistenza dell’Unione europea. La combinazione esplosiva del referendum italiano e delle elezioni presidenziali austriache, amplificate dal peso del debito pubblico italiano da una parte e dalla vicinanza storica e culturale dell’Austria alla Germania, rischia di essere una frattura insanabile nel cuore dell’Europa.
Del resto, da quando l’Ue si è messa a fare politica, a fare scelte politiche, ovviamente rischia anche la frattura politica, ossia proprio quella situazione che pretendeva di risolvere; quella situazione cioè per la quale a prevalere sono le divisioni, i particolarismi e le visioni di bene comune limitate a una parte. Ma questo può accadere proprio perché la stessa Ue non si è occupata di bene comune, ma ha servito particolarismi, specie finanziari; può solo vantarsi di non aver favorito alcun popolo, ma questo ha di fatto favorito il prevalere del più forte, la Germania.
Di fatto con la nascita dell’Ue le differenze si sono ampliate e a soffrirne maggiormente sono stati i popoli dei paesi periferici. Ora questi si stanno organizzando e stanno chiudendo la porta in faccia all’Ue. Se il referendum italiano e le elezioni presidenziali austriache non dovessero andare nella direzione desiderata a Bruxelles, l’Ue rischia di dover affrontare la più grave crisi politica da quando è nata.
I popoli sono stati accantonati, messi da parte dalle politiche liberiste dell’Ue; ora però hanno l’occasione di prendersi la rivincita. Questa è la reale posta in gioco.