Sangue freddo: è quel che si chiede, adesso, agli italiani che lavorano. Domani, dopodomani, forse per qualche giorno, i mercati cercheranno di fare dei soldi contro i titoli di Stato italiani, questo è molto probabile. Ma bisogna avere i nervi saldi: passerà. Ricordiamoci una cosa: quel che le banche straniere e i loro giornali dicono di auspicare per l’Italia non è e non è mai stato il vero bene dell’Italia ma soltanto il loro interesse. Alle banche straniere, ai governi stranieri, primi fra tutti quelli europei, l’Italia che piace è un’Italia debole, ma non ridotta come la Grecia. Perché il nostro Paese non è la Grecia.
Quindi l’occasione della sconfitta di Renzi sarà sfruttata, sui mercati, per speculare, eppure questo non significherà che davvero punteranno contro l’Italia con una strategia d’attacco frontale. Vogliono scippare un po’ di miliardi, ma neanche loro ci vogliono distrutti. L’euro ha bisogno dell’Italia, i mercati internazionali non possono pensare di metterla in ginocchio impunemente, sarebbe un boomerang pure per loro, tanto più nell’incipiente era di Trump.
Una delle responsabilità morali di Renzi più gravi è stata quella di aver posto se stesso e la sua riforma come unico argine alle emergenze del Paese, in particolare a quella bancaria, dal Montepaschi alle banche venete. Nessun argine: non c’era una strategia, non c’erano soluzioni efficaci in arrivo, c’era uno strano misto di ottimismo e di azzardo, ma se quest’ultimo cade con Renzi — ed è un bene — l’ottimismo deve restare, anche perché possiamo comunque contare sul fatto che il cordone sanitario-finanziario attorno all’Italia e perfino alle sue banche malconce lo presidia la Bce di Mario Draghi, che non difende il tricolore per un inesistente nazionalismo ma per tutelare la stabilità dell’euro, per discutibile che sia.
Chiunque riceverà da Sergio Mattarella l’amaro calice di guidare il nuovo governo e ricostruire una maggioranza gestibile in questo Parlamento, dovrà dare ai mercati un segnale chiaro contro il debito pubblico, l’indicatore indiscutibilmente peggiorato nei mille giorni del governo Renzi, in nome di una politica economica che ha tentato, anche in buona fede, di far ripartire l’economia riuscendoci però assai poco, e comunque non nella misura sufficiente ad invertire la tendenza all’aumento del debito, allo stringersi, cioè, del cappio che soffoca la nostra economia pubblica, e quindi tutta l’economia.
Fare qualcosa contro il debito significherà probabilmente inventarsi una qualche nuova tassa, una nuova “eurotassa”, forse, si vedrà.
Però attenzione, adesso più che mai va ripassata la lezione della Brexit: l’ondata di panico che ha investito i mercati dopo il “no” britannico alla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea è durata poco, si è presto calmata ed oggi, dopo sei mesi, sembra aver semmai portato vantaggi, e non handicap.
Il merito che a Renzi va riconosciuto, e che per arroganza ha sciupato, è stato quello di aver restituito al Paese — con i suoi toni enfatici veramente da boy-scout a volte perfino insopportabili ma innegabilmente incisivi — una specie di orgoglio nazionale di schietta marca berlusconiana (ci ricordiamo tutti il senso profondo di quel vecchio inno azzurro, “Forza Italia!”). Ecco, al netto dei tanti limiti dell’opera concretamente svolta dal suo governo, quest’orgoglio nazionale renziano, tutto declinato sull’economia — eccellenza produttiva, capacità di innovare, invenzioni, esportazioni — non era un fasullo storytelling. E’ invece una realtà che ha sempre portato avanti il Paese nella sua storia difficile, e non mancherà proprio adesso.
Certo, la responsabilità di Mattarella è, oggi, enorme. Ma il presidente è persona serissima, indipendente e moralmente forte, capace di dare il suo meglio nelle peggiori difficoltà. Il Parlamento in carica è delegittimato da una sentenza della Corte costituzionale che condanna la legge elettorale con cui è stato eletto, ma è l’unico Parlamento oggi in carica e deve lavorare per sostenere il governo che verrà fatto dal leader sul cui nome in queste ore sta riflettendo Mattarella, che certo aveva da molti giorni cominciato a pensarci.
Non potrà essere un governo di lunga durata, certamente, ma del resto non è lungo nemmeno il periodo che manca alla fine naturale della legislatura e d’altra parte non è pensabile che si rivoti subito con la vecchia legge bocciata dalla Consulta né tantomeno con l’Italicum.
Per questo il sangue freddo che occorre a tutti noi deve sostenere sia l’azione quotidiana dell’Italia che lavora, sia la fiducia che questo Paese ha ancora i numeri, Renzi o non Renzi, per andare avanti anche meglio di prima. Nel ’46 l’Italia riemerse sconfitta e distrutta da una guerra che il regime aveva scelleratamente voluto ed è stata in quarant’anni trasformata da Paese agricolo sconfitto e lacero nella settima potenza economica del mondo, nel Paese colto e democratico che comunque ha sempre mantenuto un suo ruolo di rilievo nel mondo. E l’Italia sconfitta riuscì in questa fioritura grazie al bicameralismo e al proporzionale. Nessuna autorità internazionale e nessun banchiere corrotto può pensare di dettare a uno Stato sovrano regole di comportamento e di autodeterminazione che solo i suoi cittadini possono scegliersi. Questa regola valeva e vale, e il voto referendario di ieri la conferma.
Il sangue freddo di tutti e i nervi saldi di un presidente perbene basteranno.