Come da copione, eccoci arrivati a un’altra puntata della telenovela Alitalia, che ormai da anni domina le cronache del Bel Paese. Gli ultimi fatti parlano chiaro e registrano quello che ormai tutti sapevano: che la presenza di Etihad nel ruolo di “salvatore della Patria” ha i suoi limiti, dettati dall’Ue, e che le banche che detengono, assieme ad altri soci, la maggioranza dell’ex compagnia di bandiera non vogliono metterci più un euro. In pratica Alitalia si troverebbe senza cherosene per continuare il suo volo, e quindi andrebbe dritta verso il fallimento.
Ma la situazione attuale non è nuova e pare essere la ripetizione del 2008 quando, dopo anni di un fallimento tecnico, si perse l’occasione della privatizzazione da parte di Air France per optare sull’opzione di una Compagnia abbondantemente decotta (AirOne) come pivot di un gruppo di industriali denominati da Berlusconi “capitani coraggiosi”.
Sappiamo tutti com’è andata a finire e adesso ci troviamo con un vettore che, passati quasi dieci anni dalla privatizzazione e con vari cambi al suo interno, tra i quali quello più significativo è l’entrata del vettore emiratino Etihad, versa in una situazione simile a quella del 2008, ma con un dato di fatto molto importante: Alitalia continua a essere un mid-carrier con un numero di aerei considerevolmente inferiore a quello di dieci anni fa, sognando sempre di votarsi al remunerativo lungo raggio ma dirigendosi verso questo settore a piccoli passi, senza una strategia ferma e decisa a un cambiamento radicale. E sorprende che Etihad, nonostante l’enorme numero di macchine a disposizione negli hangar di Abu Dhabi, non le abbia messe in funzione in Italia, incrementando il traffico di lungo raggio di Alitalia e la possibilità di migliorare la deficitaria situazione iniziale, per non dire cronica, visto che il risultato positivo di bilancio veniva rimandato sempre all’anno successivo e mai conseguito, nonostante il crollo del prezzo del petrolio e pure quello del costo del lavoro, ormai abbondantemente lowcostizzato.
E allora quale può essere la soluzione a un rompicapo che pare non averne? Nonostante le voci sull’eliminazione da parte dell’Ue delle barriere che permettano il controllo di una Compagnia europea da parte di soggetti extra Ue, ventilate in questi giorni, molti dimenticano che questa misura, che non sarebbe immediata pure se chi di dovere dovesse “battere i pugni sul tavolo” (il Governo italiano), implicherebbe una reciprocità davvero poco probabile e oltretutto farebbe entrare dalla porta principale concorrenti davvero poco graditi ai grandi vettori europei, che già non videro di buon occhio l’entrata di Etihad in Alitalia. E allora?
La soluzione risiederebbe in uno scambio, dato che poco tempo fa si ipotizzò un accordo che prevedeva un entrata di Lufthansa, smentito immediatamente dal vettore tedesco anche perché Alitalia è membro dell’alleanza SkyTeam e il passaggio in Star Alliance (della quale Lufthansa fa parte) costerebbe una tombola di penali impossibili da sborsare per il vettore nostrano. Ma Etihad detiene la maggioranza di Air Berlin e ha ceduto macchine di questa compagnia a Lufthansa. Oltretutto il vettore emiratino è appena entrato con una quota da non sottovalutare nella compagnia charter tedesca Tui. Questo interesse per aerolinee tedesche si unisce all’intenzione di acquisire quote dell’austriaca Niki per cui ci sarebbe da chiedersi le ragioni di questo shopping emiratino se non con l’intenzione di cedere parte delle sue quote di Alitalia (se non tutte) a una compagnia aerea Ue, che avrebbe senz’altro più possibilità di operare finanziariamente per rimettere in sesto i conti e acquisirne il controllo totale.
Mai come in questi casi, però, il tempo vola e, come nella più classica tradizione italiana, la soluzione arriverà all’ultimo momento. La speranza è che, evitando il ripetersi di un’ altra tradizione ormai ampiamente consolidata in ambito aeronautico, a pagare il conto non siano ancora i dipendenti di Alitalia che, in questi ultimi anni, hanno già abbondantemente contribuito a un decollo che, se non è avvenuto, non è certo a causa loro ma per macroscopici errori manageriali.