«Durante la crisi del 2011-2012 ci salvò la Bce di Mario Draghi. Oggi la situazione non è la stessa, ma l’unico che può salvarci è ancora Mario Draghi». A rimarcarlo è Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dopo il lunedì nero, anche ieri Piazza Affari ha chiuso con un pesante -3,21%. Lo spread tra Btp e Bund ha anche ampiamente superato i 150 punti base durante la giornata, contrassegnata ancora una volta dalle sospensioni al ribasso, specie dei titoli bancari.
Professore, come si spiega quanto sta avvenendo sulle Borse di tutto il mondo?
La coda della crisi degli ultimi sette anni ha scaricato sui mercati un problema che già era conosciuto, e cioè un elevato numero di posizioni critiche note anche come “non performing loans” (Npl), cioè i crediti non esigibili. Questi ultimi sono balzati alla ribalta del mercato determinando una situazione di debole ripresa europea e soprattutto italiana. Una parte dei prestiti concessi non sono riscossi, andando ad accrescere la mole degli Npl.
È più un problema dei crediti delle banche o della politica economica degli Stati?
È un problema dell’economia in generale, perché la questione dei non performing loans nasce dal fatto che ci sono prestiti i quali non sono stati ripagati, vuoi perché c’è stata una crisi profonda, come in Italia, vuoi perché in molti casi sono crediti legati a operazioni finanziarie molto rischiose. La somma di tutti questo sta a significare che oggi, come ricorda anche un’analisi della Fitch, a livello mondiale i debiti sono cresciuti e non diminuiti.
Lo spread Btp/Bund ha raggiunto quota 154 punti. Lei come lo legge?
Lo leggo come un segnale non diverso da quello che si è verificato nel 2011. È possibile che monti anche una scommessa dei mercati, determinando in buona sostanza vendite contro l’euro e in particolare contro alcuni Paesi come l’Italia.
Che cosa si può fare per risolvere il problema della debolezza dei Paesi periferici dell’Europa?
La precedente crisi, in cui si era registrata una crescita importante dello spread, non è stata certamente fermata dalle manovre del governo Monti e dai sacrifici che ne sono seguiti, bensì dall’intervento di Mario Draghi del luglio 2012. Con la celeberrima dichiarazione del “Whatever it takes”, annunciò che avrebbe fatto qualunque cosa per salvare l’euro perché quest’ultimo è irreversibile. Non necessariamente quanto sta avvenendo oggi mette in discussione l’euro, ma di sicuro mina il modello bancario in cui siamo vissuti finora. Nella precedente crisi ci ha salvato la Bce di Mario Draghi. Oggi la situazione non è la stessa, ma l’unico che può salvarci è ancora Mario Draghi.
In che senso?
Fino agli anni ’90 il sistema economico italiano ha poggiato sui cosiddetti “Bot people”, cioè sui risparmiatori che acquistavano Bot. Oggi i Bot people non ci sono più, ma ci sono soltanto le banche che investono in titoli del debito pubblico e che in aggiunta compiono operazioni al limite della correttezza, come hanno mostrato le cronache. Ciò genera inevitabilmente una reazione nei risparmiatori che tenderanno ad aumentare la liquidità, facendo crescere lo smobilizzo di posizioni che adesso sono liquide.
Per le banche centrali di Francia e Germania serve un ministro delle Finanze europeo. Sarebbe un pericolo o un’opportunità?
Né l’una né l’altra cosa. Il dato di fatto è che il governo tedesco non accetterà mai un ministro delle Finanze europeo. Lascio all’immaginazione dei lettori le trattative che si aprirebbero per una novità di questa portata. Non si riesce nemmeno ad avere un fondo di garanzia dei depositi europei, figuriamoci se si riesce ad avere un ministro del Tesoro.
(Pietro Vernizzi)