Il problema della disoccupazione continuerà ad attanagliare l’economia mondiale. In futuro, ci sarà sempre meno lavoro nel mondo mentre la disoccupazione sembra destinata ad aumentare nei prossimi due anni, soprattutto nei Paesi emergenti. Lo dice l’Organizzazione internazionale del lavoro, secondo cui, tra due anni, il numero di disoccupati a livello mondiale supererà quota 200 milioni.



E allora? Allora ci si attrezza. In Svizzera la data del referendum per un reddito minimo è stata decisa. Il governo l’ha fissata al prossimo 5 giugno. Potrebbe essere un giorno epocale per il Paese, il primo al mondo in cui i cittadini saranno chiamati ad approvare o a bocciare la creazione di un sistema che garantisca uno stipendio a tutti: 2.500 franchi svizzeri al mese; ai bambini dovranno bastarne 625. I sostenitori ritengono che il piano abbia l’obiettivo di porre fine al legame tra occupazione e reddito. Sì, perché, a meno che non ti venga offerto un lavoro che non c’è oggi, ancor meno domani, si può venire retribuiti per alzarsi tardi al mattino, dar sfogo agli hobbies, andare a zonzo: tanto paga Pantalone!



Giust’appunto, l’iniziativa costerebbe alla Svizzera quasi 190,48 miliardi di euro l’anno. Più della metà della somma verrebbe raccolta attingendo alle tasse, mentre il resto verrebbe erogato dal sistema svizzero di assistenza sociale. Di qua dalle Alpi si tenta di fare pressappoco la stessa cosa. Un reddito minimo di circa 320 euro al mese: è questo il nuovo sussidio a cui starebbe pensando il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che dice: “È un cambiamento radicale perché nel nostro Paese non c’è mai stato un istituto unico nazionale a carattere universale per sostenere le persone in condizione di povertà. Vogliamo dare a tutti la possibilità di vivere dignitosamente. È una riforma che vale almeno quanto il Jobs Act”.



Già, quei jobs che prima del valore mostrano il costo: 12 miliardi di soldi pubblici in tre anni. Bando alle ciance: un reddito minimo che integri quei redditi da lavoro, insufficienti o mancanti, per fare quella spesa e fare la crescita con i soldi di quel Pantalone che, per tenere i conti in ordine, con una partita di giro taglia l’altra spesa, quella pubblica? Cui prodest? A quel lavoro che manca perché fatto dalle macchine? A erogare quei servizi pubblici indifferibili? A smaltire quell’altrimenti sovrapprodotto? 

Ciancia per ciancia, se si sconnette il reddito dall’occupazione si rischia di remunerare l’ozio; sconnettendo invece il potere d’acquisto dal reddito da lavoro può venire remunerata l’azione. Quella del fare la spesa. Tutt’un’altra musica se il profitto, guadagnato dai beneficiati dalla spesa, rifocilla i beneficianti: non viene appesantito il Clup, migliora la competitività dell’impresa remunerante, si tiene attivo il ciclo economico.