Uno dei problemi più seri per la crescita è che i soldi arrivino effettivamente all’economia reale, cioè a famiglie e imprese. La situazione è certamente migliorata rispetto al recente passato: sono in ripresa i prestiti alle famiglie per acquisto casa, sostenuti dalla forte crescita del mutuo a tasso fisso, consolidatosi ormai sotto il 3% e divenuto prevalente dalla metà del 2015 su quello a tasso variabile, per ragioni connesse alla continua riduzione dei tassi sui depositi a partire dalla metà del 2015. Attestandosi in media sul 2,51% a fine anno, il tasso sui nuovi mutui di tipo residenziale genera condizioni creditizie favorevoli.



Sono migliorate anche le condizioni di accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese; cresce, ad esempio la percentuale delle Pmi che utilizzano il credito per investimenti e per assumere e formare nuovo personale, due aspetti sui quali molto probabilmente influiscono le agevolazioni fiscali e contributive introdotte o confermate dalla Legge di stabilità 2016. Anche in questo caso, il costo del denaro è diminuito, portandosi in media sotto il 2% a fine anno.



Eppure sembrano segnali ancora timidi se paragonati alle attese suscitate dall’azione espansiva messa in campo dalla Bce da marzo 2015, che si protrarrà almeno fino al mese di settembre. Con il piano straordinario di Quantitave easing, l’Istituto centrale ha varato un programma di acquisto di titoli di Stato dall’Eurozona per un controvalore mensile di 60 miliardi di euro, al fine di fornire liquidità alle banche per stimolarle a erogare più finanziamenti a famiglie e imprese e riportare l’inflazione all’obiettivo target del 2%.

Tale piano, tuttavia, non sembra per ora produrre gli effetti sperati. Ci possono essere varie motivazioni alla base di questo. Sicuramente l’azione espansiva è frenata da un contesto globale di incertezza sia sul piano economico, dovuta alla crisi cinese e dei mercati emergenti, sia sul piano politico, dovuta all’instabilità generale derivante dal terrorismo di matrice islamica e da imponenti flussi migratori.



Ci sono poi comportamenti eccessivamente remissivi di una parte del sistema bancario, che preferisce in tanti casi mantenere la liquidità in deposito presso la Bce: secondo quanto diffuso da Il Sole 24 Ore lo scorso mese di novembre, circa l’80% della liquidità derivante dal Qe rimane parcheggiata presso la Bce, nonostante i tassi negativi sui depositi presso la Banca Centrale. Tale paradosso è legato soprattutto ai problemi sollevati dalla qualità del credito, cioè dall’abbassamento del livello di affidabilità di famiglie e imprese dopo anni di crisi.

C’è anche, a mio avviso, un’ulteriore serie di fattori radicati nell’eccessiva dipendenza da fonti di finanziamento tradizionali da parte delle imprese, che in Europa attingono più del 70% del fabbisogno da prestiti bancari. Quali alternative ci possono essere?

Una via potrebbe essere tracciata da alcuni progetti interessanti, che si sono sviluppati in ambito energetico. Nei giorni scorsi, la società Ital Gas Storage, che fa capo a Morgan Stanley Infrastructure, e da Whysol Investments, operatore specializzato in infrastrutture, ha chiuso un finanziamento di circa 1,56 miliardi di euro per realizzare un sito per lo stoccaggio di gas naturale nel Lodigiano. Si tratta della progettazione di una delle più importanti infrastrutture energetiche del nostro Paese, ma, soprattutto, è la prima opera che verrà realizzata grazie all’apporto di capitali internazionali da parte di un operatore indipendente. Secondo quanto precisato dalla stampa, il contratto di finanziamento rappresenta una delle principali operazioni di project finance del mercato italiano ed europeo in ambito energetico.

Progetti per la distribuzione e il consumo del gas naturale vengono avanzati in Italia da diversi operatori privati, in relazione al piano strategico nazionale sull’utilizzo del gas naturale, in via di sviluppo. Per il loro successo sarà decisivo il ruolo giocato da fondi di investimento alternativi (Fia), cioè intermediari finanziari specializzati in grado di dirottare risorse raccolte da investitori istituzionali.

Dopo decenni di scollegamento dei mercati borsistici dall’economia reale, sarebbe fondamentale favorire la crescita di tali forme di investimento, che potranno avere effetti positivi anche sul piano sociale (si pensi soltanto ai posti di lavoro che potenzialmente possono generarsi) e possono rappresentare fonti di finanziamento alternative.