«L’Italia avrà bisogno di una manovra aggiuntiva da 5 miliardi di euro anche nell’ipotesi sia pure improbabile che l’Europa ci conceda ulteriori margini di flessibilità». Ad affermarlo è il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie. Oggi e domani si terrà il Consiglio europeo, e il principale obiettivo del governo Renzi è quello di portare a casa dei risultati concreti in termini di flessibilità. Un obiettivo più difficile dopo che la performance del Pil italiano nel 2015 è stata del +0,7% anziché del +0,9% come era stato previsto dal governo. Anche perché alla fine di dicembre 2015 il debito pubblico italiano si è attestato a 2.169,9 miliardi, crescendo di 33,8 miliardi rispetto alla fine del 2014, quando era pari a 2.136 miliardi.
Come si presenta il governo Renzi all’appuntamento del Consiglio europeo?
Il primo problema è quello di riuscire a ottenere nuovi margini di flessibilità calcolati sulla base del tasso di crescita del Pil dello 0,9%, che invece è risultato dello 0,7%. Con il Pil al +0,9% non ci volevano dare lo 0,2% di flessibilità perché c’era una controversia che riguardava in parte gli immigrati e in parte gli investimenti che non sono stati fatti. Il nostro rapporto deficit/Pil avrebbe dovuto essere pari all’1,8%, mentre l’Italia presenta ufficialmente un tasso del 2,4%. Questa flessibilità però non ci può essere concessa.
Il nostro premier riuscirà comunque a convincere l’Europa delle nostre esigenze?
Gli argomenti su cui si fonda la richiesta del governo Renzi sono fragili. Se non c’è un avanzo primario che si rispetti e un bilancio con un certo margine di riduzione del deficit, il debito non scende. Bruxelles intende quindi chiedere all’Italia un rapporto deficit/Pil del 2,2%. Anche perché l’unica effettiva riforma del governo Renzi è il contratto di lavoro a tutele crescenti, che non è poi una vera riforma perché i nuovi contratti sono semplicemente sovvenzionati con degli sgravi contributivi. L’unica novità è una maggiore flessibilità in uscita per la possibilità di licenziare per ragioni economiche.
Come è visto il Jobs Act a livello europeo?
Nella realtà questa norma è molto contestata a livello europeo, perché la vera riforma che ci chiede Bruxelles è il contratto decentrato basato sulla produttività. A livello europeo i contratti nazionali di settore sono stati superati, come documentano le regole adottate in Germania, Spagna e Regno Unito. Il tasso di crescita nel frattempo è stato dello 0,2% inferiore alle previsioni, e ciò ha determinato un peggioramento degli stessi dati di bilancio. Le entrate tendono a essere inferiori rispetto al previsto, mentre le spese sono quelle stabilite se non ancora maggiori.
A questo punto sarà necessaria una manovra aggiuntiva?
Sì, ritengo che sarà necessaria una manovra aggiuntiva dello 0,3-0,4% del Pil, pari in totale a 5 miliardi di euro. La manovra aggiuntiva dovrebbe essere comunque necessaria in relazione al peggioramento del bilancio. A ciò si aggiunge il fatto che i nostri conti non convincono Bruxelles.
Perché?
Il rapporto debito/Pil non si riduce abbastanza, e la richiesta centrale della Ue è proprio quello di abbassarlo. Non dimentichiamo che il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, e altri esponenti tedeschi hanno accusato Draghi, in quanto ritengono che le misure monetarie espansive possono avere come conseguenza azioni permissive nel campo del debito pubblico.
Perché l’Europa insiste tanto sull’abbassamento del deficit?
Dal punto di vista di Bruxelles, se l’Italia deflaziona la sua economia aumentando le imposte crescono gli spazi per gli altri Paesi europei. L’Ue non si preoccupa quindi del bene degli italiani, mentre siamo noi che dovremmo preoccuparci di combinare una manovra correttiva con una politica di crescita.
E se alla fine l’Ue dovesse cedere sulla flessibilità?
Anche se l’Europa concedesse a Renzi un respiro maggiore di quello che posso prevedere, il problema riemergerebbe perché l’elevato debito pubblico dell’Italia accresce il rischio bancario. I nostri istituti di credito possiedono molto debito pubblico in quanto in una fase in cui il tasso d’interesse è basso, possedere titoli di Stato è l’unico modo per avere un rendimento.
(Pietro Vernizzi)