L’Ocse prevede che il Pil dell’Italia crescerà dell’1% nel corso del 2016. La stima è stata rivista al ribasso rispetto al dato pubblicato a novembre, quando ci si attendeva un +1,4%. Nel frattempo il presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri, ha rilevato che la spending review finora è stata un “parziale insuccesso”. Intervenendo all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2016, ha sottolineato che “il contributo al contenimento della spesa non è più solo riconducibile a effettivi interventi di razionalizzazione e di efficientamento di strutture e servizi, quanto piuttosto a operazioni assai meno mirate di contrazione, se non di soppressione, di prestazioni rese alla collettività”. Ne abbiamo parlato con Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma ed editorialista di Avvenire.



Professore, come valuta le previsioni Ocse sul 2016?

Sono previsioni che comunque indicano un peggioramento della tendenza. Bisogna quindi tenerne conto, e questo sicuramente rende più difficile l’azione del governo. Le prospettive sulla riduzione del rapporto debito/Pil erano legate a previsioni molto più ottimistiche sulla crescita del 2016, e quindi a questo punto bisognerà cercare di fare qualcosa in più.



Perché, come rilevato dalla stessa Corte dei Conti, sulla spending review non si riesce a fare nulla di concreto?

Perché gran parte della spesa pubblica è legata al personale ed è difficile riuscire a incidere sulle voci in uscita. Il governo sta cercando di unificare le centrali di acquisto, ma non è affatto un’operazione semplice. Come documentano gli stessi scandali della sanità, spesso si annidano all’interno della spesa pubblica fenomeni di corruzione che vanno sicuramente combattuti e scoperti.

Nel corso di quest’anno avremo difficoltà a rispettare le clausole di salvaguardia?



Questo senz’altro,anzi ne avremo di difficoltà. Dal punto di vista economico dobbiamo cercare di fare meglio, mentre sul fronte politico sicuramente ci sarà uno scontro tra il governo e l’Ue sul rispetto degli indicatori e delle clausole di salvaguardia. Quest’ultima è una questione meramente politica, perché anche altri Paesi europei sono lontani dal rispetto delle regole sul deficit.

Le turbolenze dei mercati lasciano degli effettivi margini a una decisione politica del governo?

E’ una questione che bisognerà vedere nei fatti, ma un certo margine ce lo abbiamo. I mercati hanno apprezzato il fatto che l’Italia sia rimasta al di sotto del rapporto deficit/Pil del 3%, e non ci hanno puniti per non avere rispettato il Fiscal Compact. Ciò documenta che non c’è l’esigenza di un rispetto assoluto del Fiscal Compact, ma bisogna vedere quanto sia ampio questo margine di flessibilità. Molto dipende dalla percezione di fiducia del nostro Paese.

Che cosa può fare il nostro governo nel momento in cui il quadro dei conti peggiora?

Bisogna insistere sui tagli all’evasione e all’elusione fiscale, grazie a cui si possono recuperare moltissimi soldi. Stiamo parlando di decine e decine di miliardi, sia su un fronte che sull’altro. Occorre inoltre spingere perché l’Europa cambi la propria politica fiscale, rendendola più espansiva. C’è quindi un piano di riforma dell’Europa che è importante e che potrebbe essere decisivo anche per il raggiungimento dei nostri obiettivi.

 

Rischiamo di dover fare una manovra aggiuntiva?

Renzi ha due alternative. Da un lato può scegliere di non fare alcun passo indietro dal punto di vista dello stimolo all’economia, aumentando il deficit e litigando con l’Europa. Se così non fosse, certamente ci sarà bisogno di fare qualche intervento.

 

Di quale entità?

Molto dipende dal fatto che si debbano o meno rispettare le clausole di salvaguardia. In ogni caso Renzi devierà rispetto al Fiscal Compact che ci impone l’obiettivo del pareggio di bilancio. Questo obiettivo sarà rimandato ulteriormente, e se le cose non migliorano si renderà quindi necessario mettere in atto una piccola manovra.

 

(Pietro Vernizzi)