Mentre scrivevo questo articolo, il vertice di Bruxelles su migranti e Brexit era ancora in corso e pareva destinato, nella migliore delle ipotesi, a un raffazzonato compromesso al ribasso e, nella peggiore ma non più peregrina, a un fallimento totale. Il premier britannico, David Cameron, è stato chiaro fin dall’inizio: non accetterà un accordo qualsiasi, se le istanze britanniche non troveranno soddisfazione “tornerò a Londra senza aver firmato”. E cosa vuole Londra? Ciò che vogliono tutti i Paesi dell’Unione, senza avere però il coraggio di chiederlo: più autonomia e sovranità, in primis riguardo le tematiche legate a immigrazione e sicurezza. 



Mi fanno tenerezza quelli che attaccano la Gran Bretagna, denunciando il presunto doppiogiochismo di Londra che resta nell’Unione per vedersi garantiti gli stanziamenti e i fondi (oltre che l’export, visto che il 44% del commercio britannico è verso l’Ue), ma che si tiene stretta – e fa benissimo – la sua sterlina e chiede sempre maggiore deregulation per la City. Cosa dovrebbero fare, a vostro avviso? In Gran Bretagna 2 lavori su 5 sono legati al settore finanziario e non parlo solo di broker e trader strapagati, ma anche di chi fornisce i computer, le fotocopiatrici, il catering, fa le pulizie negli uffici e via discorrendo: perché Londra dovrebbe rischiare di perdere il suo core business a fronte di autorità europee miopi, se non completamente ignoranti e arretrate in materia? 



E poi, ciò che stanno facendo i Paesi scandinavi, l’Austria e minaccia di fare autonomamente la Baviera, ovvero rafforzare i controlli e sospendere Schengen in nome del diritto al sicurezza, non è già di per sé una sconfessione di fatto delle regole europee? Londra quantomeno ha la decenza di sedersi a un tavolo a trattare e di aver indetto un referendum da tenersi entro il 2018 sulla permanenza nell’Ue, gli altri – quelli che spaccano in quattro il capello contro gli inglesi – agiscono unilateralmente senza concordare e punto. Guardate il grafico più sotto, ci dice chiaramente che il Brexit è già presente, è già prezzato dal mercato: questo schema altro non è che la cosiddetta farfalla implicita rispetto alla volatilità del cambio sterlina/dollaro nei prossimi 3, 6 e 12 mesi, essendo il referendum atteso da quasi tutti a giugno, ovvero tra poco più di 4 mesi. E cosa scopriamo? Che la farfalla è più negativa (ovvero prezza una media della volatilità a 3 e 12 mesi sotto quella a 6 mesi) di quanto non sia mai stata in 20 anni di tracciatura dei dati al riguardo da parte di Bloomberg: l’ultima volta che ci si è lontanamente avvicinati a un livello simile è stato poco più di un anno fa, quando a Londra si temeva l’ipotesi di hung Parliament dopo il voto, ovvero l’assenza di una maggioranza qualificata per governare. Quindi, chi pensa che i mercati non siano affatto spaventati da un’ipotesi di Brexit farebbe bene a ripensarci, perché lo stanno diventando ogni giorno di più. 



Occorre essere molto onesti, pratica poco comune in Italia: Londra sta soltanto anticipando i tempi, vuole uscire dal casinò Ue prima che questo imploda, al fine di potersi attrezzare meglio al worst case scenario della fine dell’eurozona in maniera disordinata e traumatica. Grecia e Portogallo sono infatti detonatori pronti a esplodere e la Germania lo sa, visto che in seno alla questione dell’Unione bancaria, altro argomento che si è trattato al vertice di Bruxelles, Berlino ha posto la condizione del tetto del 25% delle detenzioni di titoli di Stato di un singolo Paese per gli istituti di credito. 

 

Al netto del fatto che non intendo prendere lezioni da un Paese le cui banche detengono titoli di Stato stranieri non come investimento, ma come arma di ricatto e distruzione finanziaria di massa, basti ricordare il 2011, Matteo Renzi prima di partire per Bruxelles ha chiarito la posizione italiana al riguardo: «Oggi ci rendiamo conto che la vera questione delle banche in Europa è una questione che riguarda la prima e la seconda banca tedesca. Anziché preoccuparsi dei titoli di Stato italiani nelle banche, bisogna avere la forza di dire che in pancia a istituti di altri Paesi europei c’è un eccesso di titoli tossici». Come dargli torto, per una volta. Ricorderete infatti che Deutsche Bank lo scorso 12 febbraio ha annunciato il riacquisto di bond senior unsecured per oltre 5 miliardi di dollari per tranquillizzare i mercati e mostrare a tutti che i timori sulla liquidità erano infondati: bene, al netto del pietoso silenzio dei media nei confronti del padrone teutonico, il primo grafico a fondo pagina ci mostra come il mercato non si sia affatto lasciato irretire e che il titolo Deutsche Bank stia seguendo inquietantemente alla perfezione la parabola discendente di quello Lehman. E questi vorrebbero insegnarci a stare al mondo e scrivere le regole? Ma per favore, nell’Ue il più pulito ha la rogna. 

E attenzione, perché a farci capire il grado di pericolosità della situazione percepito nella City c’è il fatto che Londra vuole andarsene pur non avendo quella sciagura travestita da moneta dell’euro e quel covo di incapaci conosciuto con il nome di Bce come Banca centrale. Il Qe della Bank of England, infatti, ha funzionato nel suo aspetto più importante, ovvero la riattivazione del meccanismo di trasmissione del credito: semplicemente, le banche a cui si prestava denaro se a loro volta non lo garantivano sotto forma di mutui e prestiti a cittadini e imprese, quando andavano a ripagare il loro debito con la Banca centrale si vedevano applicare tassi di interesse molto penalizzanti. 

E la Bce, invece? Parlando alla Commissione affari economici e monetari del Parlamento europeo all’inizio di questa settimana, Mario Draghi ha avuto il coraggio di dire che «metà della ripresa dell’area euro è dovuta alla politica della Bce», sfiorando poi il ridicolo quando ha affermato che «il Qe sta funzionando». Davvero? L’ultimo grafico lo smentisce clamorosamente poiché ci mostra la percezione di cittadini e imprese nei confronti dell’aumento del credito a loro disposizione negli ultimi sei mesi. E la domanda è chiara: avete percepito attraverso le vostre capacità di accesso, l’extra-liquidità che la Bce fornisce alle banche? La risposta è no: le banche ottengono cash e se lo tengono. 

È questa la ripresa di cui parla Draghi e della quale la Bce sarebbe responsabile per metà con le sue politiche? Quale credibilità può avere una Banca centrale che opera in questo modo? Davvero Londra dovrebbe mettere a repentaglio la competitività della City a causa delle mille legislazioni e limitazioni dell’Ue a fronte di una situazione simile? Ma soprattutto, davvero vale la pena di stare qui ancora a parlare di Unione europea o non sarebbe meglio cominciare a ragionare di Itexit? Attenti, perché il fatto che contro l’euroscetticismo di Matteo Renzi (io lo chiamo buonsenso) siano scesi in campo Mario Monti, Enrico Letta e Romano Prodi (quest’ultimo dietro le quinte), la dice lunga su chi siano i pupari che tirano i fili dell’intera operazione di disperato salvataggio della consorteria finanziaria e burocratica europeista. 

P.S.: Vi lascio con un pensierino per il weekend. Giovedì l’Ocse ha rivisto al ribasso le sue stime per il Pil italiano 2016, prevedendo una crescita all’1%, 0,4 punti percentuali in meno rispetto all’outlook di novembre. Confermata, invece, la stima di +1,4% per il 2017. Direte voi, decimali, che sarà mai? Nulla, se non che nel Def c’è scritto +1,6% per il 2016. E il Documento di programmazione economica e finanziaria determina anche la compatibilità della progressione della pressione fiscale, oltre che delle spese, con i vincoli di deficit. Mancano, di fatto, 10-15 miliardi. Patrimoniale? Manovra correttiva? Stangatona? Capito adesso perché si è tornati a parlare di pensioni?