Non si vede ancora una ripresa dei consumi nonostante un leggero miglioramento rispetto all’anno precedente. Nel 2015, la spesa media mensile delle famiglie resta ancora notevolmente inferiore ai livelli del 2008 (-6,3%) e a quelli di dieci anni prima (-2,9%). Non finisce qui. Oltre al valore medio della spesa negli ultimi 10 anni sono notevolmente cambiati anche gli standard e le modalità di consumo. Oggi si va alla ricerca del miglior prezzo rispetto alla qualità, si punta a fare scorte quando il prodotto è in offerta, acquistare prodotti di minore qualità nei discount o a prezzi scontati negli outlet, comprare articoli usati, ricorrere sempre più agli acquisti online. Tutto questo emerge dal Rapporto 2015 “I consumi delle famiglie italiane” realizzato dalla Filcams-Cgil in collaborazione con la Fondazione di Vittorio e l’istituto Tecnè.



Solo un terzo delle famiglie non ha cambiato gli standard di consumo e solo poco più del 5% lo ha migliorato. Un quarto dei cittadini ha ridotto contemporaneamente quantità e qualità e un altro terzo ha ridotto solo la quantità. Internet è entrato nella quotidianità: il 30% dei consumatori naviga per cercare il miglior prezzo di vendita dei prodotti alimentari e il 63% di quelli non alimentari. Vogliamo chiamare questo nuovo fare spending review?



Sì, la crisi ha profondamente modificato le abitudini e i consumi. Otto anni sono un periodo abbastanza lungo per consolidare cambiamenti duraturi sia qualitativi che quantitativi tra le persone.

Se si tornasse agli standard economici e di vita pre-crisi, ben il 29% degli intervistati dichiara che non modificherebbe comunque i livelli e le modalità di spese attuali. Un dato di rilievo troppo spesso non tenuto nella giusta considerazione da chi sostiene che, finita la crisi, tutto tornerebbe come prima.

Vogliamo dire come questo sia il modo per migliorare la redditività del reddito quando si mostra troppo esiguo? E dire quindi che, tornando ai fasti pre-crisi di prodighi impenitenti, tornerebbe a peggiorare la produttività nell’impiego del reddito? Che spending sia allora! Come quella pubblica che, seppur taglia, ha portato il debito italiano al 135,3% del Pil nel primo trimestre del 2015. Stava al 134,5% nel secondo del 2014: bella no? Bene, anzi male, perché toccherà ancora far più spending review!



Le imprese invece no, quando fanno buyback invece che la spesa per gli investimenti. Beh, però con i magazzini pieni riacquistare le proprie azioni sul mercato può essere, pur questa, spending review. Tutti insieme appassionatamente insomma, quelli della spesa aggregata a fare revisione proprio della spesa.

Ma se la crescita si fa con la spesa e questa non si fa, come si farà a far salire il Pil? Mi corre l’obbligo di rammentare ai signori policy maker come, per mantenere la prosperità, occorra esser prodighi, non di consigli per gli acquisti però. Sì, c’è in giro gente prodiga, costretta alla quaresima, che non vede l’ora di poter tornare a mostrarsi. Impavidi, quando si mostrano, fanno il 60% di quella crescita, agli altri aggregati solo i miseri resti. Conviene tenerli in stand by?