“Ho gestito egregiamente tutti i problemi, da Napoli a L’Aquila, alla crisi economica mondiale… Come me, nessuno ha gradimenti così elevati nel mondo… In Italia sono il migliore… Nei consessi internazionali sono il più esperto… Sono un gradino più alto rispetto a tutti gli altri leader… Quanto a intelligenza, non sono secondo a nessuno…”. No, non pensate quel che state pensando: l’accento di chi pronunciava queste frasi non è fiorentino, è brianzolo. L’autore è Berlusconi, non Renzi. Anche se si fa fatica a distinguere.
Ve lo ricordate, o già non più, il “mantra” che Silvio Berlusconi ripeteva su se stesso all’epoca del suo massimo potere, nel 2009? E a chi vi fa pensare? Ma appunto a Matteo Renzi, naturalmente. Che ieri si è presentato alla stampa estera di Roma per un’autocelebrazione-fiume sui propri primi due anni di governo che non ha fugato neanche uno dei dubbi che, con assoluta evidenza, le istituzioni (Banca d’Italia, Corte dei conti) e soprattutto gli stati e gli investitori stranieri iniziano a nutrire sull’Italia.
E del resto, cosa diceva di sé Silvio Berlusconi, negli ultimi mesi del suo potere: “Mi accorgo di aver fatto come la mia zia Marina. Io ho una zia che è molto anziana, che ha più di 80 anni e che un giorno ho trovato con un bellissimo vestito pieno di fiori, di grandi rose, che si guardava in uno specchio e diceva ‘Marina me te se bela, Marina me te se bela’, cioè Marina come sei bella. E allora io le dissi: ma zia Marina te lo dici da sola? E mi rispose: ‘Per forza, non me lo dice nessuno’. Ma era una bella zia, lo confermo’’.
L’assimilazione tra le due figure di “uomo del destino”, il secondo con la metà degli anni del primo (ahia) è ormai quasi totale. Come purtroppo quasi totale inizia a essere la somiglianza tra le ragioni di diffidenza che i mercati mondiali nutrivano verso Berlusconi e quelle che nutrono oggi verso Renzi: anche al di là dei suoi macroscopici limiti.
Innanzitutto la crisi bancaria: il deflusso di denaro dai conti correnti è continuo, la “risoluzione” di Banca Etruria e delle altre tre banchette locali bacate è stata gestita come peggio non avrebbe potuto, così come la comunicazione sulle sofferenze del sistema. Ne è conseguenza il fuoco di fila raccolto da parte dei giornali stranieri sull’idea tedesca di limitare al 25% del patrimonio globale gli investimenti di una banca in titoli di Stato del proprio Paese, che significherebbe per l’Italia andare a gambe all’aria. Giustamente Renzi ha minacciato il veto: ma il solo fatto che al ministro tedesco Schauble sia venuta in mente una simile norma anti-Italia la dice lunga.
Del resto, il debito pubblico è alle stelle: non a caso, l’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli, tornato a scrivere sul suo giornale alla scadenza della “moratoria” di un anno che gli era stata chiesta, ha severamente criticato il “maleducato di successo”, come ebbe a definire Renzi, proprio per non aver fatto nulla di significativo sul fronte della riduzione del debito pubblico, quasi 2,2 mila miliardi di euro a fine 2015, 38 miliardi in più rispetto alla fine del 2014, oltre il 130% del Pil. Un Pil che – terzo motivo di gelo dei mercati contro Renzi – continua a stentare, a non crescere: dopo lo 0,7% guadagnato nel 2015, la crescita dell’1,6% prevista per il 2016 appare irrealizzabile, almeno a oggi.
La produttività – e quindi la competitività – del Sistema Paese continua a diminuire. E le tasse – checché ne dica la Zia Marina di Rignano – continuano a salire: la Banca d’Italia ha certificato che le entrate fiscali dell’erario nel 2015 sono aumentate del 6,4%, anche se il dato include il recupero dell’evasione, anch’esso peraltro inferiore al promesso, se non all’atteso. Nel 2016, secondo i dati riclassificati dalla Cgia di Mestre, la pressione fiscale scenderà dal 43,7% al 43,2% – sarebbe finalmente una “svoltina” -, soprattutto per merito della riduzione delle imposte sugli immobili, ma va ricordato che entro fine anno il governo dovrà trovare 15 miliardi per non far scattare le clausole di salvaguardia della Legge di stabilità.
Nonostante il Jobs Act e i posti di lavoro stabili aumentati, soprattutto grazie alla conversione dei vecchi contratti a termine in contratti a tempo indeterminato (potere degli sgravi!), la disoccupazione giovanile è in aumento a quota 37,9%.
Se la Banca d’Italia è stata critica sulla politica fiscale, la Corte dei Conti ha messo in dubbio l’efficacia della spending review, i tagli alla spesa pubblica, altro fronte sul quale invece Renzi ha suonato la grancassa. “Ho la stessa fame del primo giorno, ho voglia di continuare il lavoro, la giustizia, la Pubblica amministrazione, il proseguimento del lavoro sulla ricerca… Il dato di fatto oggettivo e che mai nessun Paese ha fatto tante riforme in così breve tempo, siamo affamati di cambiamento, l’Italia ha bisogno di cambiamento, ci sono ancora troppi disoccupati, ancora troppi problemi, ma il dato di fatto è che ciò che sembrava impossibile è realtà”, ha detto alla stampa estera. Auguri. Non da gufi. Da scettici.