Il dibattito su “Brexit” è entrato nel vivo in Gran Bretagna dopo che David Cameron è tornato a Londra vendendo come una vittoria politica l’accordo spuntato a Bruxelles e annunciando il referendum per il 23 Giugno. Non poteva fare altrimenti, perchè sulla battaglia per restare in Europa Cameron si sta giocando la carriera di primo ministro. Non poteva tornare nelle vesti di negoziatore sconfitto. Ma in patria deve affrontare l’opposizione di sei ministri su ventidue del suo stesso governo favorevoli a una “Brexit” e cercare di tenere insieme un partito conservatore che appare sempre più diviso.
L’ultimo colpo basso Cameron l’ha ricevuto dal suo compagno di partito ed eterno rivale, il sindaco di Londra Boris Johnson, l’unico politico britannico che i media e la gente chiamano con il solo nome di battesimo. Nel fine settimana “Boris” ha sciolto le riserve e annunciato che farà campagna per un’uscita della Gran Bretagna dall’Europa. La notizia è stata data con grande enfasi, titolo di apertura dei telenotiziari e prime pagine dei giornali, perchè Boris è considerato uno dei politici più popolari nel Regno Unito e quindi in grado di far muovere l’ago della bilancia. Lo hanno accusato di avere messo gli interessi personali davanti a quelli del Paese, ma lui ha negato.
Da tempo si dice che Boris mira a diventare il prossimo primo ministro e una vittoria del fronte che sostiene una “Brexit” darebbe un impulso enorme alla sua candidatura. Per questo Cameron, tirando una frecciata a Johnson, ha detto in Parlamento che non intende candidarsi per un altro mandato e quindi la sua battaglia perchè la Gran Bretagna resti in Europa è “priva di ogni interesse personale”. I mercati hanno accolto la notizia della decisione di Johnson di appoggiare il fronte del no all’Europa con pesanti vendite della sterlina, che ha perso il 2% toccando il valore più basso negli ultimi sette anni.
“Certamente non compriamo sterline”, dice a ilsussidiario.net James Carrick, economista di Legal & General Investment Management. Carrick spiega che la sterlina continuerà la sua caduta in vista del referendum perchè “la Bank of England non seguirà la Fed nel rialzo dei tassi” e perchè “il Regno Unito ha un deficit cronico pari al 5% del Pil”. E aggiunge che la sterlina perderà valore perchè gli investitori stranieri preferiranno far fruttare i loro soldi negli Stati Uniti, dove possono ottenere un ritorno più alto che in UK. La svalutazione della sterlina come conseguenza dell’incertezza sul voto è opinione largamente condivisa dagli investitori nella City.
Cosimo Marasciulo, head of government bonds di Pioneer Investments, dice che lo scenario “Brexit” probabilmente avrebbe come conseguenza dei ratings più bassi per il governo britannico e, potenzialmente, anche per le aziende britanniche.
I negoziati per lasciare l’Unione europea potrebbero andare avanti fino a due anni e ancora più tempo ci vorrebbe per rinegoziare accordi commerciali bilaterali. “Le decisioni sugli investimenti sarebbero messe in attesa, la sterlina probabilmente si deprezzerebbe e l’investimento interno sarebbe a rischio”, conclude Marasciulo. Gli investitori si sono tuffati nel dollaro americano, segno che temono un indebolimento dell’economia britannica. Temono inoltre che i mercati soffriranno ulteriore volatilità con possibili ripercussioni su settori dell’economia reale.
Per esempio, secondo Richard Levis, global real estate analyst di Aviva Investors, “Brexit” è uno dei rischi che potrebbero condizionare i ritorni sull’immobiliare quest’anno. “In mancanza di un mandato decisivo a restare in Europa, dopo il voto potremmo vedere alta volatilità sui mercati valutari, rendimenti più alti dei Gilt [i titoli di Stato britannici], fuga di capitale, crescita economica più debole e un altro referendum sulla Scozia”, spiega. Tutto questo potrebbe drenare liquidità e danneggiare la performance dell’investimento in immobiliare UK nel breve termine. “Il distretto finanziario di Londra è particolarmente vulnerabile a causa di un potenziale calo della domanda di edifici da parte dell’industria dei servizi finanziari”, nota Levis.
Mike Amey, portfolio manager di Pimco, sostiene che il mercato sarà “bullish” per i Gilts perchè ogni speranza di un rialzo dei tassi d’interesse UK è spinta ulterioremente in avanti. Una visione contraria a quella di molti altri commentatori, che invece credono che il mercato sarà “bearish” per i Gilts perchè la maggior parte degli investitori stranieri che attualmente hanno UK gilts in portafoglio probabilmente li venderanno.
Le opinioni divergono anche sui pro e i contro di una “Brexit”. Se le multinazionali e il grande business, le blue-chip dell’indice Footsie 100 per intenderci, temono una “Brexit” per il suo carico di incertezza, tra le piccole e medie imprese non c’è lo stesso timore. Anzi, in molti guarderebbero con favore a un’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea perchè si sentono danneggiati dalla burocrazia imposta da Bruxelles. Almeno la metà dei vertici dei grandi business britannici quotati sul Footsie 100 hanno dichiarato di sostenere Cameron e di essere soddisfatti per l’accordo di riforma sulle relazioni tra la Gran Bretagna e l’UE da lui negoziato.
L’accordo prevede i seguenti punti: protezione dalle regole dell’eurozona per la Gran Bretagna e gli altri paesi membri dell’UE che non hanno adottato l’euro (la GB continuerà ad avere i suoi supervisori e la sua regolamentazione); esenzione da una maggiore integrazione europea e concessione di forme diverse di integrazione; impegno del Consiglio europeo a ridurre la burocrazia che pesa sul business e a intensificare accordi di libero commercio; restrizione dell’accesso ai benefits per i nuovi immigrati Ue per un periodo fino a quattro anni.