Centoquarant’anni fa, la nascita di un’associazione tra banche – che era anche, in realtà, la prima associazione nazionale tra imprese del Regno d’Italia: l’Associazione fra le banche popolari. Centoquarant’anni dopo, una spallata politica sferrata contro l’intero settore, dapprima con un decreto di dubbia costituzionalità che ha obbligato le dieci più grandi banche della categoria a trasformarsi in Spa, e poi le Banche di credito cooperativo a unirsi in un unico gruppo, salvo uno strano e controverso meccanismo di deroga per quelle che tra esse volessero trasformarsi in Spa per restare autonome.



A un anno e poco più dall’attacco del governo Renzi al credito cooperativo, la categoria è in realtà più vivace che mai. Ma certo la lotta ha lasciato il segno. Per cui i vertici dell’Assopopolari di oggi hanno colto l’anniversario per programmare una serie di dibattiti e riflessioni sulla storia e l’identità, attualissima, del credito cooperativo. Tra gli altri spunti, un lungo articolo del direttore generale di Assopopolari, Giuseppe De Lucia Lumeno, apparso sull’Occidentale.



“Stringere i diversi sodalizi di credito popolare in un consorzio, il quale miri al loro reciproco perfezionamento e vegli alla tutela dei comuni interessi”. Con queste parole, scrive De Lucia, Luigi Luzzatti – il fondatore del credito cooperativo europeo – insieme a sette presidenti di altrettante banche popolari italiane (Vacchelli, Ginoulhiac, Barbieri, Beonio, Pedroni, Sandonini e Trieste) firma la circolare con la quale, a Milano, il 10 agosto 1876, nasce Assopopolari. Le banche associate sono ventidue e, fatto straordinario per l’epoca, sono banche. “Hanno colto lo spunto di Luzzati, presidente onorario in numerosi istituti, ma prima di tutto statista, giurista ed economista protagonista dell’Italia post-risorgimentale, che è unanimemente considerato il vero e principale artefice della nascita dell’Associazione, la sua anima, il suo cervello”. Ad associarsi furono le Banche Popolari di Arona, Bergamo, Bologna, Brescia, Cesena, Faenza, Intra, Lodi, Milano, Modena, Motta di Livenza, Oderzo, Padova, Palazzolo sull’Oglio, Piacenza, Pieve di Soligo, Reggio Emilia, Soncino, Venezia e Verona e poi la Società di Mutuo Credito Popolare Cremona e la Banca Commerciale e Industriale di Savignano.



Le prime Popolari italiane erano nate fin dal 1864 al nord, nella zona più ricca del Paese. Nel 1882 erano già 200 e all’inizio del Novecento erano aumentate a quasi 700. Rivolte – come oggi, in fondo – ai bisogni del commercio e dell’industria di piccole e medie dimensioni, ma anche delle famiglie, e guidate dai princìpi di cooperazione, localismo, solidarietà e sussidiarietà, si trovarono a supplire, di fatto, alle gravi carenze del sistema bancario capitalistico del Paese e, divennero rapidamente banche di dimensioni medie e, in alcuni casi, decisamente ragguardevoli.

È suggestivo rileggere, con il senno di poi, i deficit di sistema cui le popolari sopperirono, espandendosi: sembra che non siano passati 140 anni. “Assenza di un vero e proprio sistema bancario strutturato e accresciute e diversificate dimensioni qualitative e quantitative avevano fatto sentire forte alle banche popolari”, scrive De Lucia, “che fino alla nascita dell’Associazione erano sorte e si erano mosse in maniera autonoma, anche se non erano mancati scambi di esperienze soprattutto fra aree contigue – l’esigenza di un luogo di aggregazione e di confronto che si realizzò proprio grazie alla nascita dell’Associazione. Gli amministratori delle Banche Popolari si erano già cimentati in battaglie pubbliche molto importanti, quali quella per il riconoscimento di una specificità giuridica ai propri istituti (che invece erano assimilati, in base all’allora vigente codice di commercio, alle banche di credito ordinario) e quella per la concessione della facoltà di emissione cartacea”.

“Assopopolari, a 140 anni dalla fondazione, e in piena continuità con i valori e al vocazione originaria”, prosegue De Lucia, “continua nella sua mission di valorizzazione del Credito popolare, tutelandone l’immagine e rafforzando i legami tra le banche aderenti”. Oggi, l’Associazione rappresenta 63 banche popolari associate, 52 società finanziarie controllate e 150 corrispondenti; 8.823 sportelli, 1.380.000 soci, 12.400.000 clienti e 80.700 dipendenti con 450 miliardi di euro di attivo per quote di mercato pari al 26% attraverso sportelli che rappresentano circa il 30% dell’intero sistema bancario. Più sportelli che quota di mercato, ovviamente, perché la categoria è specializzata nei clienti piccoli, quelli che assorbono molto lavoro di sportello per operazioni finanziarie di importo modesto. Non a caso, nel 2015, 29 miliardi di euro sono stati utilizzati per nuovi finanziamenti alle Piccole e medie imprese e 12 miliardi alle famiglie, con un incremento, in questo caso, del 53% rispetto all’anno precedente.

E così, mentre le bordate riformatrici scuotono ma non demoliscono il sistema del credito cooperativo italiano, a livello internazionale la Cooperazione bancaria è una realtà vitale e in continua espansione. “Nel mondo sono attivi oltre 200 mila istituti”, annota De Lucia sull’Occidentale, “con 435 milioni di soci, 700 milioni di clienti, 9.000 miliardi di euro di raccolta e 7.000 di impieghi”.

In conclusione, scrive De Lucia Lumeno, “nel mondo globalizzato del nuovo millennio, ci sarà lo spazio e l’esigenza di un modello nato più di centocinquant’anni fa e basato su banche legate al territorio, a comunità locali, piccole, medie o grandi che siano come anche la crisi economico-finanziaria ha dimostrato. Sta tornando centrale, in Europa e nel mondo, il modello cooperativo e la sua applicazione in nuovi ambiti di attività come modello alla base dell’economia della collaborazione, un’economia dei beni comuni che presuppone l’interazione tra tutti i soggetti economici secondo meccanismi di cooperazione, solidarietà ed efficienza.

La massimizzazione del profitto sarà sempre più temperata all’interno di un contesto che pone l’economia reale, gli interessi dei clienti e la reputazione della società come priorità assolute. Una vera e propria inversione di tendenza resa necessaria per uscire dalla crisi. Le Banche popolari, e con esse l’Associazione, grazie alla propria storia, ai valori di cooperazione, localismo, solidarietà e sussidiarietà che le hanno generate e animate, possono affrontare con fiducia le nuove sfide del ciclo economico che si sta appena profilando. Dunque, 140 anni sono certo tanti, ma sono appena i primi di una lunga storia, una storia ancora da scrivere”.