Determinato ma ottimista. Così è apparso Alessandro Azzi, leader del Credito cooperativo italiano, in settimana a Milano, ospite dell’Associazione europea per il diritto bancario e finanziario. A un pubblico selezionato di economisti e giuristi d’impresa ha nuovamente raccontato come Federcasse abbia preparato l’autoriforma delle Bcc, largamente recepita nel decreto del Consiglio dei ministri del 17 febbraio. Nessun accenno polemico con il premier Matteo Renzi. Soddisfazione, invece,perché il Governo ha stretto sulla riforma, consentendo ora al sistema-Bcc di guardare al futuro con tempi certi. “Entro maggio – ha confermato Azzi a Milano – presenteremo il progetto di Gruppo Cooperativo Nazionale”. Il progetto di gruppo unico – esplicitamente additato dalle autorità monetarie italiane ed europee alle Bcc – ha già raccolto la convergenza espressa di Federcasse, Iccrea Holding e Cassa Centrale di Trento, oltre all’aperto appoggio della Bcc di Roma, la maggiore del Paese.



Oggi, intanto, Azzi sarà ascoltato in commissione Finanze della Camera: la sede istituzionale in cui il Credito cooperativo esprimerà le sue valutazioni sul testo del decreto (molto complesso) e proporrà le sue ipotesi di messa a punto. Il “gioco della conversione” è stato aperto, pochi giorni fa, con la designazione del relatore al decreto-banche: il deputato del Pd Giovanni Sanga, un commercialista bergamasco molto esperto di diritto societario ed eletto in uno degli hub del Credito cooperativo nazionale.  Da Governo e maggioranza filtra voglia di tempi rapidi: si vorrebbe che il decreto diventasse legge entro Pasqua, ben prima del termine dei 60 giorni. Ma quali sono i nodi da sciogliere in Parlamento per lanciare il Credito cooperativo “3.0”?



Una norma del decreto ha destato sorpresa e preoccupazione: non solo nel mondo Federcasse, ma nel più ampio universo del movimento cooperativo italiano (molto ampio anche nella rappresentanza parlamentare). È la facoltà, lasciata dal decreto, alle Bcc con patrimonio netto superiore ai 200 milioni di trasformarsi in Spa senza l’obbligo di devolvere le riserve al Fondo per lo sviluppo della cooperazione: queste ultime potrebbero invece essere trattenute con il pagamento di un “affrancamento” fiscale pari al 20%. 

Le riserve di Federcasse su questo punto sono note. L’obiettivo della riforma – fissato dal Governo ma totalmente condiviso da Federcasse in sede di autoriforma – rischia di venire contraddetto dall’apertura di una “way-out” potenzialmente ampia. Sono 14 le Bcc teoricamente interessate dalla “corsia di fuga”, anche se 11 avrebbero giù informalmente escluso di volerla percorrere. Ma – ammesso che la norma venga mantenuta – sarebbe anzitutto corretto che il Governo fissasse una data certa per stabilire quali Bcc potranno effettivamente ricorrervi: ad esempio, la data del decreto o al massimo quella della conversione in legge (com’è stato del resto nel 2015 per identificare le Popolari obbligate a trasformarsi in Spa entro 18 mesi). In caso contrario il governo parrebbe incentivare “fughe” ulteriori attraverso fusioni decise “in corsa”.



L’affrancamento fiscalmente agevolato continua di per sé a suscitare perplessità in Federcasse. Per tre ragioni. La prima è la violazione di un principio direttamente innestato nella tutela costituzionale della cooperazione: la solidarietà generazionale insita nelle cooperative. Queste accumulano riserve fiscalmente agevolate (una sorta di “aiuto di Stato”) nel presupposto che quelle risorse rimarranno sempre “del movimento cooperativo”, senza che nessuna generazione se ne appropri: la riforma delle Bcc sarebbe un precedente dirompente.

La seconda obiezione è l’impoverimento oggettivo che subirebbero le Bcc che volessero trasformarsi in Spa con affrancamento oneroso (un passaggio che potrebbe allertare anche Bce e Bankitalia). Il terzo profilo controverso riguarda l’ipotesi di cui l’ex senatore del Pd Nicola Rossi si è assunto la paternità: come “consulente” della Bcc di Cambiano e in diretto raccordo con la Presidenza del Consiglio. Si tratta di un complesso modello di trasformazione “duale”: l’azienda bancaria verrebbe scorporata dalla cooperativa. Il percorso è già stato vietato come “elusivo” alle Popolari in sede di riforma: nel cui comparto ha già dato prova molto problematico presso la Popolare di Spoleto commissariata e oggetto di inchieste giudiziarie. Riguardo le Bcc risulta ancora non chiaro dove rimarrebbero parcheggiate le riserve affrancate. La Vigilanza autorizzerebbe una Bcc-Spa priva di riserve proprie? E quali nuovi soci investirebbero nella Bcc-Spa senza riserve patrimoniali?

Altro macro-profilo problematico del decreto è certamente la mancata previsione – contrariamente alle attese – di una forma di flessibilità per le Casse Raiffeisen dell’Alto Adige. Le raccomandazioni Federcasse – condivise con le centrali di Bolzano – guardavano alla nascita di un sotto-gruppo legato al Gruppo Nazionale da un’articolazione del “patto di coesione” previsto come snodo standard fra Gruppo Nazionale e Bcc. Palazzo Chigi, in sede di decreto, non ha accolto l’ipotesi che – peraltro – era ancorata alle tutele costituzionali riconosciute alla Provincia autonoma di Bolzano. Su questo e su tutto, la partita comincia oggi.