Dunque, secondo il governo sarebbe auspicabile che le torri di trasmissione della televisione e della telefonia mobile venissero aggregate in un polo a controllo pubblico! È questo che ha detto il sottosegretario con delega alle Comunicazioni Antonello Giacomelli: “È giusto che le infrastrutture di comunicazione strategiche siano di proprietà pubblica o a controllo pubblico, a garanzia della concorrenza, del mercato e della libera iniziativa di tutti. A maggior ragione nel settore delle torri, dove seguiamo con attenzione quello che sta avvenendo”. Battuta sorprendente per le varie ragioni che riepilogheremo e attualissima perché Telecom Italia sta per vendere la sua rete di ripetitori Inwit. A chi? Verosimilmente a uno straniero.



Innanzitutto un’annotazione: più di un anno fa Giacomelli fu il primo a rivelare l’intenzione del governo di far pagare il canone Rai con le bollette telefoniche, divenuta ormai legge; e all’indomani del suo “scoop” fu smentito da Palazzo Chigi, che – con la spregiudicatezza che ne distingue l’inquilino – ritenne, sulla base di reazioni varie e sondaggi, precoce la rivelazione. Ma era autentica. Quindi o Giacomelli è un tipo imprudente oppure viene usato per lanciare “ballon d’essai”: ma è comunque uno che le cose le sa.



Non tutte, però: perché se ha così a cuore la stabilità in mani pubbliche e quindi italiane delle infrastrutture di comunicazione, dovrebbe ricordare che il 37% del capitale di Telecom Italia – che possiede la rete fissa ormai per buona parte in fibra ottica, su cui Internet raggiunge le case degli italiani – è nelle mani di due signori francesi che se ne strafregano di Renzi e della politica economica italiana, e pensano legittimamente soltanto a farsi i fatti loro! È forse meno importante la rete in fibra delle torri? Certo che no, ma perché allora nessuno se ne preoccupa?



E qualcuno dovrebbe ricordare anche – ma a questo punto non più solo all’onesto Giacomelli, ma innanzitutto al suo capo, a Palazzo Chigi – che la Cassa depositi e prestiti, da più parti e da molto tempo invocata come garante delle radici nazionali delle infrastrutture di telecomunicazioni, sarebbe perfettamente in grado di controbilanciare da subito la presenza dei soci stranieri nel capitale di Telecom o anche di comprarne la rete fissa, se una legge ne prescrivesse lo scorporo e la cessione.

Così come sempre la Cassa, magari attraverso Cdp Reti – subholding destinata proprio al controllo delle infrastrutture di rete essenziali al consesso civile, come Terna (alta tensione elettrica) e Snam (gas) – potrebbe tranquillamente comprarsi domani mattina sia la rete fissa di Telecom, sia una possibile società unica delle torri per tv telefonia mobile, che mettesse insieme la pubblica Raiway con la Inwit che Telecom si accinge a vendere e che rischia seriamente di finire in mani straniere.

Già: perché i pretendenti all’acquisto di Inwit non sono solo i berlusconiani di Ei Tower. controllata col 40% da Mediaset, ma anche gli spagnoli di Cellnex (gruppo Abertis); i quali, paradossalmente, sono alleati con il fondo F2i che è partecipato con il 14% proprio dalla Cassa depositi e prestiti, ma che non ne rappresenta la “longa manus” perchè – da bravo fondo di private equity – compra le sue partecipazioni per rivenderle e non può tenersele più di tanto. Ah, tra l’altro Cellnex, ha già comprato un sacco di torri in Italia, quelle di Wind e quelle di Atlantia.

Ma la Cassa? “Dorme de piedi”, come direbbero a Roma per indicare qualcuno così morto di sonno da crollare a letto con la testa al posto dei piedi. I nuovi vertici non sono il massimo per garantire il presidio pubblico e nazionale degli interessi industriali strategici. L’amministratore delegato Fabio Gallia è davvero un bravo manager, ma ha lavorato benissimo per dieci anni con una proprietà francese in Bnl, dimostrando di sapersi intendere benissimo con azionisti stranieri (onore al merito, ma qui parrebbe che il governo voglia fermarli, gli stranieri, non gestirne con efficienza le direttive); e il presidente Claudio Costamagna, banchiere d’affari di lungo corso, è stato addirittura una colonna della campagna di privatizzazioni Ciampi-Prodiana, facendo far man bassa di commissioni alla (allora) sua Goldman Sachs italiana e ha nel dna le privatizzazioni, non le nazionalizzazioni.

Insomma: di fronte a questi dati di fatto e agli input scoordinati del governo, l’impressione è quella di trovarsi, una volta di più, di fronte a dei dilettanti allo sbaraglio. Alzino il telefono e dettino la linea alla Cassa, oltre a fare intervistine. È roba loro, la usino, ne facciano finalmente una holding delle partecipazioni industriali strategiche – le Reti, ma anche l’acciaio dell’Ilva e la chimica di Versalis, per esempio – e se solo l’Europa s’azzardasse a fiatare, con Francia e Germania ancora padrone di tutta la loro storica telefonia pubblica, della loro energia e delle loro banche, potrebbe veramente essere mandata a quel Paese.