Il cda delle Generali si riunirà martedì 9 febbraio e il presidente Gabriele Galateri di Genola potrà informare per la prima volta ufficialmente il board riguardo la decisione dell’amministratore delegato Mario Greco di lasciare Trieste, per diventare Ceo della concorrente Zurich. Greco assumerà l’incarico di vertice a Zurigo l’1 maggio: l’assemblea annuale del Leone è in programma il 28 aprile. L’Ad uscente parteciperà alla convention dei soci chiamata ad approvare i conti 2015? il successore verrà scelto in quella sede – o quanto meno presentato ai soci quel giorno – oppure strettamente cooptato dal consiglio? Sono questi i temi che alimentano in queste ore i rumor di Piazza Affari, dove il titolo del Leone continua a essere sotto pressione (anche ieri sui minimi a quota 12,6 euro).
Il calendario finanziario della compagnia prevede che il consuntivo 2015 sia approvato dal consiglio il 17 marzo: difficile che Greco lasci prima di aver presentato al board non solo gli ultimi conti annuali, ma anche il personale bilancio di tre anni trascorsi a Trieste. Non sorprende quindi che le indiscrezioni su una designazione-lampo per la successione – forse già entro febbraio – siano circondate da molti interrogativi. Le Generali hanno una governance strutturata e articolata. Le nomine di competenza del consiglio (e quella dell’Ad è il top appointment) vengono istruite da un comitato: ne fanno parte, oltre a Galateri che lo presiede, due consiglieri-azionisti molto pesanti a Trieste. Si tratta di Francesco Gaetano Caltagirone (formalmente ringraziato da Greco, al pari di Leonardo Del Vecchio) e Lorenzo Pellicioli, che rappresenta DeA Capital. È quindi evidente che il lavoro di selezione delle candidature sarà fin dapprincipio tutt’altro che tecnico-burocratico. Né convince la “narrazione” mediatica secondo cui in comitato nomine il confronto sarà subito concentrato sulla scelta di una figura professionale “bell’e pronta”: ad esempio, fra comprimari interni di Greco, come il francese Philippe Donnet (l’ex manager Axa chiamato a presidiare Generali Italia) o il Cfo Alberto Minali (uno dei pochi risparmiati dall’epurazione della squadra interna seguita al brusco allontanamento di Giovanni Perissinotto).
Sembra invece inevitabile l’apertura di una riflessione a tutto campo sul presente e sul futuro del Leone: toccando il nervo delle tensioni che hanno provocato e accompagnato il distacco di Greco. Più passano i giorni e più infatti diventa chiaro che il “caso Greco” è diverso da quello fatto crepitare dal Financial Times attorno a Capodanno: la singola vicenda di un “top business talent” conteso a suon di compensi fra due giganti assicurativi europei. Il “caso Greco” appare invece sempre più la spia di crescenti squilibri interni ai grandi soci del Leone e di un impasse non episodica nella strategia del gruppo. Lo stesso cedimento del titolo al listino – inizialmente attribuito al malumore dei mercati per l’abbandono del Ceo – sta assumendo contorni più’ complessi.
Non è mancato chi – fra mercato e ambienti finanziari – ha puntato il dito contro Mediobanca: lo storico primo azionista ha infatti preannunciato da tempo di volersi riassestare a Trieste, liberando una parte del proprio pacchetto dal 13% fino al 10%. Ma altri rumor hanno invece ipotizzato manovre ribassiste sul titolo al listino, forse finalizzate a favorire un’iniziativa sulle Generali da parte di qualche gruppo estero. Conspiring forces, secondo l’espressione resa subito mantra da Mario Draghi.
Un recentissimo report di Bernstein, d’altronde, ha sì criticato il ruolo di Mediobanca come storico azionista di riferimento, ma soprattutto la gestione Greco: che lascerebbe il Leone “in una situazione precaria”. Bernstein sottolinea che Generali è l’unica big assicurativa a non aver ottenuto l’approvazione per il proprio modello “Solvency II”, cioè per il set di standard di vigilanza microprudenziale previsti dagli accordi internazionali. Insoddisfacente anche “la bassa qualità del capitale, in quanto il 37% si basa sul valore futuro dei profitti vita” (il Vif è l’argomento citato anche in un recente articolo su queste pagine che ha correlato l’andamento della capitalizzazione di Borsa delle Generali essenzialmente ai benefici esterni del calo dello spread sull’ingente portafoglio di titoli di Stato italiani).
Il bilancio delle Generali sta comunque assumendo più profilo come tema di Borsa mano a mano che si avvicina l’assemblea. Pochi giorni prima di accendere il “caso Greco”, lo stesso FT aveva ad esempio citato la compagnia all’interno di un’ampia feature su di un controverso protagonista della City londinese contemporanea. Lars Windhorst “è la rappresentazione di ciò che dev’essere oggi un tessitore di reti nella City”, ha fatto dire sibillinamente FT a un frequentatore dei megaparty che il 39enne businessman tedesco offre abitualmente a Londra. Feste “da Grande Gatsby”, annota il quotidiano, “nelle quali è possibile incrociare anche personaggi come Matthias Warnig, un ex agente della Stasi ritenuto molto vicino al leader russo Vladimir Putin”.
Un personaggio “enigmatico” Windhorst: a 18 anni era già di casa al Forum di Davos, nell’entourage del cancelliere tedesco Helmut Kohl. Startupper e naturalmente “finanziere 2.0”, Windhorst si trasferisce a Londra sei anni fa, ma intanto colleziona due fallimenti societari e uno personale, con sospensione di una condanna detentiva in Germania. Ciò non gli impedisce oggi di essere a capo di Sapinda, una holding parecchio misteriosa che tuttavia ha dichiarato 187 milioni di euro di utili nel 2014. In che cosa investe Sapinda? FT cita tre scommesse: Sequa Petroleum (dal Mare del Nord al Kazahstan); Amatheon (agroalimentare nell’Africa sub-sahariana) e Ichor Choal (carboni termali in Sud Africa). Quattro anni fa un discreto colpo nell’immobiliare tedesco (acquisto di beni distressed e riquotazione).
Where does the money come from, da dove prende i soldi herr Windhorst? si chiede FT. È a questo punto che viene citata Generali, assieme ad altri big names dell’asset management globale (Janus, Fidelity, L&G). Tutti gruppi che – par di capire – hanno finanziato Sapinda: rassicurati, presumibilmente, dalla presenza nel board di nomi del calibro di Edwin Eichler (ex Ceo della tedesca ThyssenKrupp dimessosi nel 2012 dopo un caso di corruzione); del super-consulente tedesco Roland Berger o dell’ex presidente svizzero di ABB, Hubertus von Grunberg. Per l’enfant prodige tedesco – espressione di quella stessa finanza centro-europea che ha riportato Greco a Zurigo – si è speso peraltro Lord Peter Mandelson, ex commissario Ue. Fra i mentori storici c’è anche Ki Kim, un misterioso finanziere sud-coreano che non può rientrare a Seul perché inseguito da pesanti indagini su manipolazioni di Borsa.
Ma con quanti capitali e in che forma Generali ha investito Sapinda? È un investimento concluso – e con quali risultati – oppure è ancora in essere? Neppure FT è entrato in dettagli: difficile del resto ricostruire una posizione attendibile attraverso le documentazioni periodiche nella moltitudine di veicoli di una grande istituzione finanziaria. FT, dal canto sui, ha segnalato una “struttura esoterica nel cuore dell’impero Windhorst”: la finanziaria lussemburghese Sapinda Invest, che negli ultimi due anni ha raccolto un miliardo di euro a debito. Nel frattempo Janus Capital (185 miliardi di dollari di fondi gestiti) ha già suonato la ritirata da Sapinda. Mentre ancora FT, a metà gennaio, ha informato che Wahid Pierre Chammas – origini libanesi, rampante fund manager under 40 fra Wall Street e la City – ha lasciato Janus per un nuovo ruolo appositamente creatogli proprio a Sapinda da Windhorst: global chief investment officer.