È comprensibile che nella City i crolli continui della Borsa italiana non piacciano. Per quanto non di prima grandezza, la piazza milanese (di proprietà del London Stock Exchange) conta ancora qualche titolo buono per i grandi portafogli: ad esempio alcune chip bancarie, magari di quelle Popolari che promettevano bene dopo la riforma-Spa di un anno fa. Meno scontato è invece che il quotidiano della City punti direttamente il dito sulle responsabilità della Banca d’Italia nella vigilanza sul settore creditizio prima dell’avvento della Bce. Come ha fatto ieri sera in un preoccupato commento online, dopo che il Ftse-Mib ha chiuso a -4,7%, con una raffica di capitomboli: da Mps, Carige, Bper (tutti oltre il 10%) fino a Bpm nonostante i buoni utili annunciati, e soprattutto con UniCredit pericolosamente vicino alla soglia dei 3 euro. Per non parlare dello spread rimbalzato bruscamente oltre quota 140, ri-allungando minacciose ombre a spirale – fra debito pubblico e banche – che l’Azienda-Italia sembrava aver dimenticato. È per questo che FT ha fatto squillare un campanello d’allarme.



Pur riconoscendo in via Nazionale “un bastione di competenza e stabilità” nella terza economia dell’Eurozona, facendo da “contrappeso a una gestione economica spesso volubile condotta dai governi che si sono succeduti”, il giornale non nasconde che il crollo dei bancari italiani in Piazza Affari preme ora su Bankitalia “con l’accusa di non essere stata in grado di proteggere il sistema italiano”. L’accusa è sostenuta in prima persona dall’economista Riccardo Puglisi, secondo cui Bankitalia “ha sottovalutato il problema degli crediti deteriorati anche se era ben noto”, mentre un banchiere italiano non identificato sottolinea che “dal 2010 la solidità delle banche italiane è stato un mantra”. Da via Nazionale si difendono, scrive il giornale britannico, sostenendo che “per decenni” l’operato della vigilanza ha evitato crisi bancarie che hanno colpito altri paesi. “Gli Npl sono la conseguenza della più lunga e profonda recessione nella storia della Repubblica”.



Ma FT insiste: secondo alcuni osservatori, Palazzo Koch avrebbe dovuto “persuadere il governo a salvare le banche con soldi pubblici, come avvenuto in altri paesi”. Secondo altri, il governatore Ignazio Visco  avrebbe dovuto essere “più aggressivo nell’obbligare le banche ad aumentare il capitale in modo da avere un cuscinetto contro le sofferenze”. Per altri ancora Bankitalia è stata “troppo morbida” con quelle banche indebolite da “una cattiva governance” e avrebbe dovuto spingere per consolidare il sistema ulteriormente.

Il test per la Banca d’Italia ora, conclude il quotidiano, “è vedere se riuscirà a convincere gli istituti di credito più in difficoltà a realizzare delle fusioni e passare le loro sofferenze a società private attraverso lo schema del governo recentemente approvato dalla Ue”. Ma è un Visco estremamente indebolito quello che dovrebbe tentare il colpo di reni. È un governatore palesemente emarginato dal premier Matteo Renzi, il primo a sentirsi tradito da Bankitalia in occasione delle risoluzioni di Banca Etruria, Banca Marche, ecc. E a poco sembra essere servito che all’ultimo Forex Visco sia sia unito alla “voce grossa” del governo contro l’imposizione del bail-in targato Bruxelles.



Segni di nervosismo sono giunti d’altra parte anche da Francoforte: dove il presidente della Bce, Mario Draghi, predecessore di Visco e suo sponsor nel 2011, è sempre più sotto pressione strumentale proprio per la debolezza del “suo” sistema bancario. È presumibile che lui stesso si aspettasse da parte di via nazionale una mano più forte e sicura nel gestire i quattro dissesti del 2015 e, soprattutto, nell’accelerare la messa in sicurezza del Monte dei Paschi di Siena.

Ma l’Italia può permettersi in questo momento un cambio brusco di governatore (sarebbe il secondo in undici anni)? Quel che è certo è che una ruota di scorta per Visco sarebbe immediatamente pronta: Lorenzo Bini Smaghi, fiorentino, ex direttore per i rapporti internazionali al Tesoro ed ex membro dell’esecutivo Bce prima dell’avvento di Draghi. La moglie, Veronica De Romanis, è economista nello staff di Renzi. Il quale – a margine di un recente forum a Repubblica – si sarebbe lasciato scappare di non vedere l’ora che Visco concluda il mandato, nel 2017. Ma ora perfino FT sembra accelerare.