Complimenti a Beppe Sala, trionfatore alle primarie per il candidato sindaco di centrosinistra (sic) di Milano e un applauso al trasformismo di Beppe Grillo sulla questione del Ddl Cirinnà, veramente un capolavoro di equilibrismo politico. D’altronde, oggi in Italia non si parla d’altro, fatto salvo il campionato di calcio e il Festival di Sanremo. Peccato che invece qualcosa sia successo nel corso del fine settimana, un qualcosa strettamente connesso agli ennesimi tonfi borsistici di ieri. 



In un articolo pubblicato sul quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung dal titolo “Europe at a crossroads” (L’Europa a un bivio), i banchieri centrali di Francia e Germania hanno dichiarato quanto segue: «La Banca centrale europea non è nelle condizioni di creare una crescita a lungo termine per i Paesi dell’Ue. L’eurozona ha bisogno di un’accelerazione sulle riforme strutturali e un ministro delle Finanze della zona euro per ottenere quella crescita sostenibile ancora lontana». Vecchio tema, per carità, ma oggi – con le tensioni borsistiche ai massimi – potrebbe essere la volta buona per una discussione che alla fine sfoci in qualcosa di concreto già a partire dall’Eurogruppo e dall’Ecofin previsti a Bruxelles per giovedì e venerdì. Ovvero, il commissariamento coatto delle politiche fiscali dei vari Paesi sotto coordinamento del nucleo forte che si stringe attorno alla Germania e ai Paesi del Nord. 



Il timing, d’altronde, è perfetto: guarda caso, è riesplosa la crisi della cosiddetta periferia dell’Ue, spread compresi, nonostante il front-load degli acquisti della Bce. E proprio la Banca centrale europea e il suo operato è finito nel mirino dell’articolo firmato dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann e da Francois Villeroy de Galhau della Banque de France, a detta dei quali «la Bce non ha raggiunto l’obiettivo di inflazione al 2% per tre anni consecutivi ed è molto improbabile che ci riesca ora con il crollo del prezzo del petrolio, la crescita economica poco brillante e i salari fermi. Anche se con la sua politica monetaria ha fatto molto per la zona euro, non può creare una crescita economica sostenibile». Da qui l’idea del ministro delle Finanze europeo, un’idea non del tutto nuova come ho già detto e che fu lanciata per la prima volta, guarda caso, nel 2011 per un coordinamento politico della crisi economica dopo i salvataggi di Grecia, Irlanda e Portogallo. «Un’integrazione più forte – sostengono i due banchieri centrali – potrebbe ripristinare la fiducia nella zona euro, favorendo lo sviluppo di strategie comuni e una crescita costante». 



Insomma, nonostante il governo neghi, l’Europa del sud nel suo insieme è sotto attacco un’altra volta. La Germania vuole chiudere i conti, anche per mascherare i suoi fallimenti, da Volkswagen alla gestione criminale del capitolo profughi e non farà prigionieri questa volta, visto che Angela Merkel pur di salvare la pelle politica ha venduto l’anima al diavolo, attaccando ieri in maniera frontale i raid russi sulla Siria e schierandosi sulla medesima posizione di Usa, Arabia Saudita e Turchia. Insomma, spalle ben coperte per la ex signorina della Germania Est. Ma basterà? 

Questo grafico ci mostra come il rischio bancario europeo, di fatto la copertura sul rischio di controparte, sia al massimo da tre anni, ma che a tracciare in coupling l’andamento ci sia il credit default swap di Deutsche Bank, casinò di derivati ambulante di cui però nessuno si preoccupa di parlare, presi come siamo dalla fusione Bpm-Banco Popolare e dalla bad bank. 

Ieri, poi, tutte le Borse europee hanno accelerato al ribasso dopo che il sentiment della zona euro è peggiorato più del previsto a febbraio in scia ai timori per l’economia globale: l’indice Sentix, che monitora il morale degli investitori e degli analisti della zona euro, è sceso a 6 il mese in corso dal 9,6 di gennaio, contro le attese degli economisti per una lettura a 7,6. «La zona euro sta dimostrando, e non è una sorpresa, di non essere immune alla considerevole perdita di slancio dell’economia globale», si leggeva in una nota di Sentix. Inoltre, il sotto-indice delle aspettative per l’economia della zona euro è scivolato a 1,5 da 6,3 di gennaio, al minimo da novembre 2014. 

Sui mercati europei pesava e non poco anche l’alta tensione alla Borsa di Atene a causa delle incertezze per la tenuta del governo guidato da Alexis Tsipras, al centro delle proteste e delle manifestazioni di piazza per la riforma delle pensioni. Già, perché se non ve ne foste accorti, ad Atene sono tornate le molotov in piazza. Il principale indice della Borsa di Atene a metà giornata cedeva il 5%, portando il bilancio da inizio anno a -24% e l’indice generale ai minimi dal 1990: di più, l’indice bancario ieri ha toccato il minimo record di tutti i tempi crollando di oltre il 21%. La riforma delle pensioni annunciata a gennaio da Tsipras prevede la riduzione a 2300 euro dell’ammontare mensile massimo (da 2700) e una minima di 384 euro: le misure fanno parte del piano richiesto dalla ex Troika (Ue, Fmi e Bce) in cambio del nuovo piano di aiuti da 86 miliardi di euro negoziato a luglio. Cosa vi avevo detto questo autunno che la Grecia sarebbe tornata a far rumore prima della primavera? 

Ma non basta. Anche lo spread Btp/Bund si allargato fino a quota 140 punti rispetto alla chiusura di venerdì, con il rendimento del decennale italiano in aumento all’1,59%, come ci mostra il grafico a fondo pagina. «È tornata l’avversione al rischio sui mercati, in una situazione di alta volatilità e di incertezza, gli investitori vendono periferia e comprano asset sicuri come il Bund», precisava uno strategist interpellato dall’agenzia MF-Dowjones. E infatti, tutti gli spread periferici ieri si sono impennati: Italia, Grecia, Spagna e Portogallo. Che strano e tutt’altro che inaspettato deja vu. Ma come mai questa improvvisa e drastica esplosione dell’avversione al rischio in Europa, visto che le difficoltà della Grecia sono note da mesi e anche la questione bancaria italiana non è da sorpresa impensabile? Forse il fatto che i mercati cinesi siano chiusi per tutta la settimana a causa della festività del Capodanno ha portato le attenzioni e le ossessioni degli investitori altrove? 

Io ho una mia idea, chiamatela pure complottista, non importa: generalmente i complottisti ci prendono. Cosa successo infatti negli Stati Uniti durante il weekend, a parte il SuperBowl di football che ha inchiodato l’intera nazione davanti ai televisori? È successo che qualcuno non era interessato alla finale di football e ha pensato di lavorare un po’, sfornando un bel report. Si tratta dello strategist di Morgan Stanley, Graham Secker, il quale non aveva di meglio da fare che spostare l’attenzione dei mercati del rischio proprio sull’Europa. Ecco cosa ha scritto. «Un aspetto che vale la pena di notare nell’attuale situazione di avversione al rischio è la mancanza di ampliamento degli spread sovrani periferici europei: questo è inusuale stando ai pattern di performance e molto probabilmente riflette il programma di acquisti della Bce. Mentre la regione è spesso percepita come un consensus di overweight da parte degli investitori equity, noi preferiamo Usa e Giappone. La nostra cautela sull’Europa riflette in primo luogo la prospettiva di ulteriore delusioni riguardo gli utili nell’area ma siamo anche attenti al risorgere di preoccupazioni geopolitiche». 

 

Ma non basta. Per Secker, «le recenti cautele degli investitori tendevano a focalizzarsi sul rafforzamento del dollaro, sulla Cina o sul prezzo del petrolio, ma noi pensiamo che il 2016 potrebbe riportare l’Europa a invertire gli ordini, qualcuno potrebbe dire tornando al posto che le compete! Il prossimo referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Ue, che dovrebbe tenersi a giugno, potrebbe essere il catalizzatore per un aumento del premio di rischio nell’area a breve termine, ma è l’attuale crisi dei migranti che rischia di erodere la coesione politica nel medio termine e portare a un aumento dell’incertezza nella periferia. La Grecia ha una scadenza di pagamento sul debito importante questa estate, la Spagna è attualmente senza un governo, le nuove regolamentazioni europeo non hanno permesso all’Italia di adottare una bad bank efficace per risolvere i suoi problemi e il governo socialista recentemente eletto in Portogallo sta ribaltando le misure che hanno portato ad austerity e miglioramento della competitività. Durante i rialzi ciclici i mercati tendono a non guardare troppo attentamente a queste preoccupazione ma accade il contrario, quando la crescita comincia a stagnare». 

Guarda caso, il giorno dopo i mercati hanno accesso i fari e anche i lampeggianti verso il rischio di controparte della periferia europea. Se non capite che siamo sotto attacco dopo questo, allora godetevi pure il protettorato anglo-tedesco che ci attende al varco.