Uno dei principali temi di discussione in sede di conversione del decreto-legge e’ la cosiddetta way out, ossia la possibilita’, per le Bcc aventi un patrimonio netto superiore a 200 milioni di euro, di trasformarsi in spa senza devolvere il patrimonio ai fondi mutualistici per la cooperazione dietro corresponsione all’erario di un’imposta straordinaria pari al 20% delle riserve. Lo ha affermato il capo della Vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo, ascoltato dalla Commissione Finanze della Camera riguardo la riforma delle Bcc contenuta nel decreto banche.
A fine giugno 2015, le Bcc con patrimonio netto superiore a 200 milioni erano 14 e rappresentavano circa il 21% degli attivi della categoria. Le BCC con patrimonio netto compreso tra 100 e 200 milioni erano 28 e rappresentavano il 18% degli attivi”. Barbagallo ha ricordato che i termini della questione vertono, fra l’altro, sulla coerenza della misura con la legislazione cooperativa generale e con quella speciale delle Bcc, nonche’ con i principi costituzionali tra cui la liberta’ d’iniziativa economica, la tutela della cooperazione mutualistica e quella del risparmio. Andrebbe ponderato se la misura prevista per l’imposta straordinaria non conceda vantaggi ingiustificati a chi esercita l’opzione di uscita, risultando inferiore al complesso delle agevolazioni fiscali ricevute dalla cooperativa nel corso del tempo.
Resta poi il tema della conformita’ dello schema alla disciplina europea degli aiuti di Stato: eventuali incertezze su tale profilo renderebbero problematico il rilascio delle necessarie autorizzazioni”. L’azione della Vigilanza rimarrebbe poi “incerta” se si venisse a creare, nella fase di transizione, sul numero e sulle dimensioni delle Bcc che farebbero parte di gruppi cooperativi; questo -ha precisato- avrebbe esiti negativi sulle iniziative per la loro costituzione e sui tempi di attuazione della riforma, potendone minare le capacita’ di risolvere i problemi del credito cooperativo”.
Barbagallo ha quindi messo in evidenza come “desta preoccupazione, in particolare, la mancanza di una data di riferimento della soglia fissata per selezionare le Bcc che potranno avvalersi della way-out. Qualora il Parlamento ritenesse di confermare la norma sull’affrancamento, e’ auspicabile che sia chiarito il carattere eccezionale della facolta’, giustificata dal profondo mutamento intervenuto con il passaggio da un assetto atomistico a uno di gruppo”. “In coerenza con tale impostazione -ha aggiunto Barbagallo – andrebbe prescritto che la facolta’ e’ esercitabile in un circoscritto arco temporale e soltanto da quelle Bcc che presentano il richiesto ammontare dell’aggregato patrimoniale a una precisa data passata di riferimento, che potrebbe coincidere con una delle date piu’ recenti a cui sono riferite le valutazioni, certificate dai revisori, sulla consistenza del patrimonio (ad esempio fine esercizio 2015)”.
Questo perche’, ha chiarito il capo della Vigilanza, “non si puo’ escludere che nel periodo transitorio, non breve, previsto per l’attuazione della riforma vengano proposte iniziative di fusione tra Bcc, soprattutto tra quelle con patrimonio compreso fra 100 e 200 milioni, finalizzate esclusivamente a beneficiare della facolta’ di uscita”. “Fermo restando che queste operazioni di fusione dovrebbero essere comunque autorizzate dalla Banca d’Italia ai sensi dell’articolo 57 del Tub avendo come “stella polare” il criterio della sana e prudente gestione, l’effetto di demutualizzazione del settore potrebbe risultare maggiore di quanto preventivato, accrescendo i problemi di instabilita’ del comparto. Di fatto -ha messo in evidenza Barbagallo- la way out potrebbe essere un’opzione a disposizione degli intermediari dotati di piu’ elevati margini rispetto ai coefficienti patrimoniali obbligatori. Gli intermediari piu’ fragili, incapaci di sopravvivere autonomamente dopo la corresponsione dell’imposta straordinaria, non avrebbero viceversa alternative all’adesione ad un gruppo cooperativo paritetico”.