Il mondo non è solo immenso, ma è anche immensamente vario e interessante. Sentite un po’ che cosa sta accadendo in Giappone. I sindacati del settore bancario e assicurativo, che sono una vera e propria potenza per iscritti e influenza politica, hanno annunciato in grande stile che rinunceranno, dopo anni di rivendicazioni, a richiedere i consueti aumenti salariali perché sono preoccupatissimi delle conseguenze negative in termini occupazionali e di condizioni di lavoro che potrà avere la politica di tassi di interessi negativi praticata dalla Banca centrale del Giappone. I lavoratori delle mega banche Sumitomo-Mitsui, della Mizuho e delle assicurazioni Tokio Marine e Sompo Japan accusano la Banca centrale di minare in tal modo i bilanci dei loro datori di lavoro e di indurre le piccole imprese a ridurre i salari per timore delle negative conseguenze che ne deriverebbero su tali imprese di cui il Giappone è, come è noto, ricchissimo. Insomma, sembra che il mondo si capovolga o quanto meno che il vento stia girando o cambiando verso, per usare un termine politicamente sempre più in voga.
Anche la stampa internazionale disvela tutta una serie di timori – per esempio – su ciò che può accadere in conseguenza della decisione assunta da Mario Draghi, che ieri ha dato il via a una ondata di prestiti alle banche con tassi di interesse negativi, condizionati alla concessione di crediti all’economia, e all’incremento di 20 miliardi mensili di liquidità acquistando anche titoli di imprese non creditizie. Ma gli umori degli operatori sui mercati finanziari non sono per nulla positivi, con addirittura una risalita dell’euro. Di più: le critiche al “grande Mario” iniziano a fioccare anche da parte di coloro che lo hanno sempre sostenuto.
Negli Usa la preoccupazione per la deflazione europea cresce, soprattutto perché essa è una dei macigni internazionali sul grande disegno neo-imperiale del Trattato transatlantico tra Usa ed Europa su cui si gioca ormai il ruolo stesso degli Stati Uniti su scala mondiale, soprattutto se si pone a mente che questo disegno si accompagna con più successo all’altrettanto grande progetto di Trattato transpacifico che, come è troppo poco noto, coinvolge gli stati dell’America del Sud che affacciano sul Pacifico e gran parte dei paesi asiatici con l’esclusione però della Cina e l’inclusione dei suoi due storici nemici: il Giappone e il Vietnam.
Mai come oggi l’economia è legata alla geo-strategia attraverso l’anello del potere mondiale e del suo sistema di pesi e di rilevanze. È proprio questo sistema di pesi e di rilevanze che le politiche della Bce rischiano di mettere in pericolo con evidenti conseguenze possibili sul sistema di alleanze internazionali. Anche la City londinese inizia a veder serpeggiare tra i suoi esponenti una crescente insofferenza per l’Europa: si sente salire il tasso di consenso verso la Brexit, ossia l’abbandono da parte del Regno Unito dell’Europa, incoraggiati, coloro che vogliono rompere ogni legame con essa, dal regime di iper-regolazione che ormai vige nel Vecchio continente e che francamente è divenuto un vero e proprio ostacolo al lavoro bancario e assicurativo. Una iper-regolazione che tuttavia non ha incentivato processi di clearing house, ossia di trasparenza e di eliminazione delle shadow banks e delle shadow pools, ossia quelle scatole nere dove si effettuano transazioni di derivati e di titoli tossici senza controllo alcuno.
Ma vi è un problema assai più grave ed è quello della mancata crescita economica e quindi della mancata benemerita ascesa del tasso di inflazione (l’inflation targeting di cui discettava Ben Bernanke). Di più: la deflazione continua invece a manifestarsi e ad aumentare, lasciando sgomento qualsivoglia monetarista che crede ancora e sempre nel ruolo salvifico della moneta. La circolazione monetaria si rivela essere non solo un segmento e non il tutto dell’accumulazione capitalistica, ma addirittura un ostacolo a essa quando si separa dall’economia reale.
È ciò che è accaduto sinora con eccessi di liquidità uniti a eccessi di risparmio in una tipica trappola che avevamo già visto scattare in Giappone più di trent’anni or sono e che esigenze geopolitiche hanno costretto – sotto la spinta degli Usa – ad affrontare seriamente per uscire, appunto, da una stagnazione con deflazione. Una trappola che ciò che rimane dell’Occidente non può permettersi più di fronte al crescere aggressivo della Cina: un Giappone forte economicamente è condizione per il suo riarmo. Del resto quest’ultimo è impossibile senza ripresa della crescita e la fuoriuscita dalla deflazione. Questo vale per il Giappone come per l’Europa.
Nessuno ha tuttavia superato per tempismo e intensità il modello Federal Reserve. Ma di qui, comunque, le politiche monetarie non ortodosse delle banche centrali sotto forma sia di Quantitative easing, ossia di acquisto a manetta di titoli di stato e di sostegno delle banche. sia di abbassamento dei tassi di interesse, con le conseguenze che ben conosciamo Ossia la crescita non si realizza e si rimane a piè fermo nella stagnazione, con piccoli rimbalzi di qualche decimale con un segno zero sempre innanzi. E questo perché se vogliamo che si innesti un percorso di crescita sostenibile occorre favorire un massiccio processo di investimenti che creino posti di lavoro e buoni profitti, così da porre su nuove basi la domanda interna. Oggi, invece, essa si restringe sempre più, per effetto delle politiche deflattive incentivate dalla prevalenza del blocco teutonico su tutto il sistema economico europeo.
Sir Mervyn King, già Governatore della Banca d’ Inghilterra, ha scritto in “The End of Alchemy” delle pagine che per i più saranno sconvolgenti, ma che disvelano a tutti il dramma in cui siamo immersi e che nessuna Banca centrale da sola potrà mai risolvere da sola. Sir King è spietato e afferma che la creazione dell’euro fu innanzitutto il risultato di un progetto politico franco-tedesco per imporre una politica di austerità continentale diretta a rafforzare il potere delle due nazioni egemoni dell’Europa e che ne avevano determinato in gran parte la storia. La Francia mancò il suo scopo perché l’euro – e soprattutto la sottrazione di sovranità da parte dell’eurocrazia a dominazione teutonica – ne fiaccò le forze e la ridusse a ciò che è oggi: una nazione destinata alla decadenza e che cerca la sua rivincita in una serie di avventure africane che peggiorano anziché migliorare, sia la sua situazione che quella europea, come dimostrano le crisi da migrazione che scuotono oggi l’Europa come fa il vento con un albero disseccato e che sta per sbriciolarsi. Sia il Quantitative easing, sia le politiche di tassi di interessi negativi sino a oggi hanno prodotto certo una temporanea difesa dinanzi all’esplodere di una crisi innanzitutto finanziaria di grandi proporzioni, ma di fatto hanno consentito di prendere tempo, non di andare alla radice del male.
Il male non è oscuro: il male è l’eccesso di risparmio per eccesso di speculazione finanziaria puntando tutto sulle esportazioni e provocando anche la recessione della stessa Cina che oggi non riesce a passare da un’economia tipicamente comunista fondata sugli investimenti in beni strutturali a forte indebitamento delle imprese statali a un’economia fondata sul consumo di massa, su imprese private e su lavoratori inurbati.
È fallito il modello che anche Draghi ha condiviso sperando di occultarlo con le eterodossie monetarie: è fallito il modello della cosiddetta crescita fondata sull’esportazione a discapito della domanda interna. Le politiche monetarie non riescono a invertire la discesa della stagnazione secolare che abbiamo iniziato a percorrere con l’unificazione monetaria europea, con la Germania che trascina nel suo surplus commerciale una catena di nazioni che finanziano a debito ciò che non possono più finanziare con il lavoro dipendente ben pagato e una politica di valorizzazione del profitto industriale anziché della rendita finanziaria. L’ora della verità è giunta e ora tutti si scagliano contro Mario Draghi.
Non bisogna sbagliare obbiettivo: Draghi non è stato l’Arcangelo Michele e ora non deve divenire un Cavaliere dell’Apocalisse. Egli è fautore di una politica economica senza sbocco che in ogni caso tuttavia è stata ed è meno negativa dell’ordoliberalismo e della deflazione sostenuta dalla cultura dominante tedesca e dall’accademia economica mondiale dominante. La sua politica, così come quella accademicamente dominante, poteva e doveva essere contrastata da una politica come virtù dei migliori, ossia del contemperamento e non dell’eliminazione degli interessi nazionali in un’Europa che invece con favole tecnocratiche e giochi si specchi ha offeso e umiliato i principi di una libera e forte crescita economica sull’altare di una filosofia dell’algoritmo.
Molti l’hanno condannata a parole, compreso Matteo Renzi, ma non sono riusciti a imporre nei fatti il suo superamento, a cominciare dalla non attuazione del fantomatico Piano Juncker che è solo servito a far rieleggere Juncker stesso contro il volere degli inglesi più avvertiti e scettici che mai dinanzi alle alchimie – appunto – lussemburghesi e le incertezze subalterne delle socialdemocrazie europee.
Qualsiasi decisione possa prendere la Bce deve essere chiaro che essa deve essere pertinente, se vogliamo tornare a crescere, con un insieme di politiche anti-austerità che devono conservare il nocciuolo del processo unitario europeo, ossia la moneta unica, ma devono rimettere in gioco i Trattati ridonando – sul modello Usa – libertà di bilancio alle nazioni europee, pena il disfacimento dell’Europa medesima. Dobbiamo cambiare tutta la concezione prevalente in economia politica nel Vecchio continente. Ce lo chiedono anche le decine di migliaia di migranti che premono alle nostre frontiere e che non possono essere trattati senza misericordia. Ma la misericordia deve divenire politica e politica di accoglienza fondata sulla nuova crescita dell’economia. Solo in tal modo in questi tempi terribili salveremo ciò che dell’Europa può ancora essere salvato.