«Di fronte ai dati congiunturali positivi è necessario comunque rimanere con i piedi per terra. Un fenomeno sempre più importante come l’e-commerce sta portando alla distruzione di posti di lavoro, contribuendo all’attuale deflazione». È il commento di Guido Gentili, editorialista ed ex direttore de Il Sole-24 Ore, dopo la pubblicazione degli ultimi dati Eurostat. A gennaio la produzione industriale dell’Eurozona è cresciuta del 2,1% rispetto a dicembre e del 2,8% rispetto a gennaio 2015. Nello stesso periodo la produzione industriale italiana ha registrato rispettivamente un +1,9% e un +3,9%. Con le vendite auto in forte crescita, la disoccupazione in calo e le misure eccezionali messe in campo dal presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, tutto fa pensare a un futuro più roseo per l’economia europea.
Gentili, ci aspetta davvero uno scenario più rassicurante o all’orizzonte ci sono delle criticità nascoste?
Innanzitutto va notato che la mossa di Draghi è assolutamente rivoluzionaria. La Bce dice che le sue munizioni non sono finite, ma con questa mossa ci testimonia che la situazione è comunque molto difficile. L’Eurotower scende in campo a gamba tesa con la politica monetaria per ripristinare un corretto circuito di finanziamento dal sistema bancario alle imprese, addirittura con la possibilità di acquistare dei bond. Significa che siamo arrivati a un punto di svolta.
In che senso?
Evidentemente la situazione è talmente difficile, con una ripresa comunque debole e con una pericolosissima deflazione alla soglia, che ha costretto Draghi a scendere in campo con un arsenale che un anno fa sarebbe sembrato pura fantascienza. Dal punto di vista congiunturale si registrano dei dati positivi, ma il terreno sottostante non è di tutto riposo. Siamo arrivati ai tassi negativi e a una Bce che si assume delle responsabilità del tutto inedite. Questo mostra che il re è nudo.
Che cosa la preoccupa di più?
Nel recente discorso di fronte alla Bundesbank, tra i soggetti che “cospirano” o “contribuiscono” alla deflazione, Draghi ha citato anche l’e-commerce. La sharing economy è uno degli elementi nuovi di questi ultimi anni, come documenta un fenomeno quale Uber, nonché le nuove offerte online dei colossi dell’ospitalità. Tutto ciò determina un cambiamento in atto, con una carica dirompente di innovazione ma anche di distruzione di posti di lavoro. È un dato cui dobbiamo guardare con attenzione, in quanto pone banche, imprese e sindacati di fronte a nuove tendenze che non si possono ignorare. Industry 4.0 rappresenta un terreno ancora in larga parte incognito.
Lei quindi come legge dati positivi come l’incremento della produzione industriale nell’Eurozona?
Siamo in un momento particolarmente complicato, e ritengo che i dati congiunturali pur positivi non possano farci cantare vittoria. Bisognerà stare a vedere come usciremo da questi processi di cambiamento epocali. C’è una serie di fattori che riguarda l’economia internazionale, come l’andamento dei prezzi del petrolio e delle materie prime, nonché le forti tensioni geopolitiche nel mondo. A questi elementi si aggiungono la crisi dei Paesi emergenti, nonché le scelte che toccano la Cina e la sua politica.
Tutto ciò quali ripercussioni può avere sul piano economico?
Dobbiamo prendere atto che ci sono fattori che sfuggono ai controlli dei singoli governi nazionali, nonché della stessa Unione europea. Dobbiamo abituarci a confrontarci con dei problemi giganteschi e con delle incognite che non sono per certi aspetti prevedibili come il terrorismo e le migrazioni. Abbiamo a che fare con un contesto complessivo molto complicato, all’interno del quale ci sono dati congiunturali che vanno presi sempre con cautela.
La disoccupazione in calo comunque fa ben sperare?
Sì, ma restano anche qui ostacoli da superare. Lo documentano, per esempio, i risultati limitati del progetto Garanzia Giovani. Quest’ultimo aveva una platea potenziale di 2,2 milioni di persone. Dopo due anni, un impegno finanziario importante e con gli stessi aiuti dell’Ue, Garanzia Giovani ha generato però soltanto 30mila contratti di lavoro. Parliamo di cifre irrisorie e quindi di un sostanziale fallimento di questo programma. Anche questo ci dice che è necessario rimanere con i piedi ben piantati per terra, cercando di sfruttare al meglio le opportunità offerte dalla politica monetaria.
(Pietro Vernizzi)