«Renzi dovrebbe evitare i trionfalismi sulla flessibilità dello 0,3%, perché ciò di cui avremmo bisogno è il 3,0% che si sono concesse Francia e Spagna». Lo evidenzia Alberto Bagnai, professore di Politica economica all’Università G. D’Annunzio di Pescara. Nei giorni scorsi il governo italiano ha inviato alla Commissione Ue la richiesta ufficiale di poter usufruire di margini di flessibilità dello 0,3% del Pil, pari a 5 miliardi e 150 milioni di euro cui vanno sommati 6 miliardi di fondi europei. Il presidente del consiglio, Matteo Renzi, ha commentato: “Il tema della crescita vede una posizione che viene presa finalmente anche da qualche forza politica a livello continentale. Vedo finalmente una condivisione ampia su questo punto nel Pse (Partito Socialista Europeo, ndr) che se messa in atto e finalmente operativa potrà dare risposte sul dato degli occupati, non dei decimali”.
Professor Bagnai, quando possono fare gli interventi da “zero virgola” annunciati da Renzi?
Siamo in una situazione da economia post-bellica, e quindi gli interventi dovrebbero essere risoluti. Uno 0,3% non risolve nulla, considerato che abbiamo partner europei come Francia e Spagna che si sono tranquillamente presi il 3,0%. Al posto di Renzi eviterei i trionfalismi, perché i casi sono due: o uno la pensa come lui, e allora gli fa passare tutto, ma una voce critica non può che trovare ridicola la sua esultanza. “Zero virgola tre” non serve, c’è bisogno del “tre virgola zero”.
Senza interventi più massicci ha senso parlare di un rilancio della crescita dell’Italia?
Rilanciare la crescita in un Paese periferico dell’Eurozona come l’Italia è una cosa doverosa, ma espone al rischio di trovarsi di nuovo in squilibrio nei conti con l’estero. Maggiori investimenti significano maggior reddito. Nell’attuale situazione economica però una parte molto consistente di questi redditi andrebbe spesa in prodotti d’importazione, e questo ci metterebbe di nuovo in deficit con la bilancia dei pagamenti.
In che senso?
Nei fatti è bastato uno 0,6% annuo di crescita del Pil perché il surplus dell’Italia con il resto del mondo cominciasse a flettersi. Noi siamo veramente su una lama di rasoio dove pochi decimali di crescita bastano a compromettere il nostro equilibrio con l’estero, ma non bastano a risolvere il problema della disoccupazione.
Insomma, dall’austerità non si scappa?
Monti ha fatto l’austerità proprio per rimettere a posto la bilancia commerciale con l’estero. Ciò significa che se si smonta l’austerità si distruggono di nuovo i conti con gli altri Paesi. Noi non possiamo raggiungere l’obiettivo dell’equilibrio interno, cioè della piena occupazione, e quello dell’equilibrio esterno, cioè della bilancia dei pagamenti in pareggio, con un unico strumento come la politica fiscale. Abbiamo bisogno di un altro strumento, cioè la politica valutaria: serve cioè la possibilità di aggiustare il nostro cambio rispetto ai nostri partner commerciali.
È da quando è premier che Renzi si atteggia a ribelle nei confronti di Bruxelles. Quali risultati ha ottenuto?
Renzi quantomeno ha messo in evidenza qual è il problema: dovrebbe esserci una politica coordinata a livello europeo. Il premier però non capisce o fa finta di non capire che questa politica non ci può essere perché come ammette lo stesso consigliere della Merkel, Peter Bofinger, la Germania deve il suo successo allo schiacciamento dei salari che la fa essere più competitiva.
Il parlamento però ha approvato il pareggio di bilancio in Costituzione e lo stesso bail-in bancario. Perché l’Italia prima recepisce le norme europee e poi si rende conto che vanno contro i suoi interessi?
Le elite italiane hanno tradito oggettivamente gli interessi del Paese. Il problema è che purtroppo anche il modello che propone l’Europa non è virtuoso. Io parlo sia il francese che il tedesco, e se a Nord delle Alpi ci fosse il paradiso terrestre ci sarei già andato. Nella realtà il modello sociale tedesco sta creando fortissime tensioni sociali anche in Germania.
Può fare un esempio di queste tensioni?
La Merkel non ha deciso di accogliere i migranti perché è la nuova Madre Teresa di Calcutta. Il capitalismo tedesco ha bisogno di comprimere ulteriormente i salari per restare a galla, e quindi vede con favore persone disponibili a lavorare per poco come i migranti. È del resto sotto gli occhi di tutti lo sconquasso che questa cosa ha provocato nella struttura sociale della Germania: un modello di economia basato sulle esportazioni non può funzionare.
(Pietro Vernizzi)