«Restituire potere d’acquisto alle famiglie italiane è un’operazione tutt’altro che semplice. Anche avendo a disposizione l’1% o il 2% di Pil per tagliare le tasse, non è affatto scontato che ciò si tradurrebbe in una crescita dei consumi». Lo evidenzia Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Mercoledì il presidente del consiglio, Matteo Renzi, ha parlato del taglio delle tasse nel corso delle sue comunicazioni alla Camera dei Deputati in vista del Consiglio europeo di giovedì e venerdì. Il premier ha spiegato che alla luce della “deflazione impressionante” attualmente in corso sarà necessario un abbassamento delle tasse in deficit, sforando rispetto al percorso previsto dal Fiscal compact, purché non si superi il rapporto deficit/Pil del 3%.



Professore, che cosa ne pensa del piano di Renzi presentato alla Camera dei Deputati?

La questione è come restituire potere d’acquisto alle famiglie e quindi come stimolare la domanda interna. Da questo punto di vista la manovra degli 80 euro è stata solo marginalmente efficace. Ciò che occorre è una riduzione delle tasse il più possibile ampia e generalizzata, nonché che sia considerata come stabile. Questo aumento del potere d’acquisto non è così semplice da realizzare dall’oggi al domani, proprio perché dovrebbe essere considerato stabile e permanente da parte delle famiglie e delle imprese.



In che modo andrebbe realizzato il taglio delle tasse per produrre effetti sui consumi?

L’innalzamento del potere d’acquisto attraverso la leva fiscale andrebbe inoltre realizzato attraverso modalità differenti per chi lavora e per chi non lavora. È inoltre necessario che il potere d’acquisto aumenti anche per chi attualmente non paga le tasse. In ogni caso non è scontato che il taglio delle tasse si traduca in consumi nel breve termine. Una manovra di questo tipo sarebbe possibile e avrebbe un effetto positivo sulla domanda interna e sui consumi solo se è credibile, permanente e significativa anche dal punto di vista quantitativo.



Che cosa accadrebbe invece se il taglio delle tasse si limitasse a una misura una tantum?

Qualora il taglio delle tasse si limitasse a una misura una tantum, si tradurrebbe più in un risparmio che non in un aumento dei consumi interni. Ciò di cui c’è bisogno è una manovra che aumenti i redditi di tutte le famiglie italiane, soprattutto su base mensile.

Di quale entità sarebbe il taglio delle tasse pensato da Renzi?

Poniamo che il governo decida di aumentare il reddito disponibile di un punto di Pil, pari cioè a 16 miliardi di euro. Le famiglie italiane sono 23 milioni e questo mediamente per famiglia significherebbe un po’ meno di mille euro su base annua, cioè di nuovo circa 80 euro.

Quali effetti avrebbe questa misura?

Ipotizziamo una manovra che, se generalizzata, coinvolgesse sia le famiglie in cui tutti lavorano, sia quelle in cui lavorano solo alcuni membri, sia quelle composte da pensionati. Non sarebbe una rivoluzione, ma comunque sarebbe qualcosa di significativo. Probabilmente potrebbe essere particolarmente incisivo utilizzare l’1% del Pil in modo efficace, immaginando una sorta di 14esima generalizzata. Collocandola per esempio nel mese di luglio si consentirebbe agli italiani di fare qualche giorno di vacanza in più.

 

Sarebbe comunque un segnale?

Sì. Essendo ormai entrati nell’ottavo anno di crisi o di crescita lenta, probabilmente se il taglio delle tasse fosse stato avviato prima avrebbe avuto maggiori probabilità di essere un segnale positivo. Abbiamo bisogno di un segnale forte, magari piccolo ma stabile. Sforando il Fiscal compact dell’1% del Pil, questo segnale non è facile da realizzare e soprattutto occorre che sia stabile. Nella situazione attuale però la stabilità di un provvedimento del genere è quantomeno dubbia. Questo è il motivo per cui molti, e io sono tra quelli, hanno sempre ritenuto fosse preferibile un aumento degli investimenti anziché un taglio delle tasse.

 

Chiedere di sforare il Fiscal compact porterebbe comunque a un nuovo scontro con la Commissione Ue?

Esiste il rischio che a livello europeo non si trovi una maggioranza che permetta queste misure e che si insista per un rigoroso pareggio del bilancio strutturale a partire da subito anziché nell’arco di due o tre anni. Anche qualora si riuscissero a ottenere l’1 o il 2% del Pil, riavviare la domanda interna non è comunque un’operazione semplice. È molto facile che queste risorse si perdano per strada o vadano nella direzione sbagliata. Rimettere in movimento la macchina della produzione, dei consumi interni e del lavoro è quindi un’idea che si può realizzare, ma esistono varie alternative con cui questo potrebbe avvenire.

 

(Pietro Vernizzi)