«L’accordo con la Turchia è adottato». L’annuncio è arrivato poco prima delle 16 di ieri su Twitter dal premier finlandese Juha Sipila, a cui ha fatto eco subito dopo il premier ceco, Bohuslav Sobotka, in relazione all’intesa sui migranti in discussione a Bruxelles. Dal 20 marzo, torneranno in Turchia tutti i migranti irregolari in viaggio verso le isole greche. Il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, dopo nuove negoziazioni con il premier turco Ahmet Davutoglu, ha chiesto ai leader europei di sottoscrivere un nuovo testo, dato che giovedì sera i 28 leader avevano sospeso i lavori poco dopo la mezzanotte senza arrivare a un accordo condiviso.
Di fatto, Ankara accetta il principio che tutti i migranti (che siano rifugiati o persone in cerca di lavoro non ha alcuna importanza) che vanno in Grecia torneranno in Turchia. Per ogni migrante tornato indietro, il governo turco invierà un migrante siriano nell’Ue. È il meccanismo che viene ritenuto unanimemente in grado di scoraggiare i viaggi nell’Egeo. Ma a far cedere Ankara è stato il fatto che nel testo si prevede anche un’accelerazione dei primi 3 miliardi di euro ad Ankara e l’apertura del capitolo negoziale 33 (quello che riguarda il budget) per l’adesione della Turchia all’Ue.
Mediazione? Resa? Una sola cosa appariva certa, fin dall’inizio dei lavori di giovedì: la volontà quasi feroce di Angela Merkel di arrivare in qualche modo a un accordo con Ankara, anche pagando un prezzo politico, oltre che economico, molto alto. Il perché è presto detto: i servizi segreti tedeschi hanno reso noto al governo che la situazione in Germania è già oggi potenzialmente esplosiva, ben peggiore di quanto si possa pensare all’esterno. Hans-Georg Maaßen, numero uno dell’intelligence interna BfV, ha dichiarato che lo Stato islamico sta deliberatamente impiantando jihadisti tra i rifugiati che stanno arrivando in Europa e che il numero di salafiti in Germania è salito a 7900 dai 7mila del 2015 e dai 5500 del 2013: «I salafiti vogliono instaurare un Stato islamico in Germania». Sono oltre 800 i residenti nel Paese – il 60% dei quali con passaporto tedesco – che si sono uniti all’Isis in Siria e Iraq e stando ai dati dell’Ufficio federale della polizia criminale, un terzo di loro è già tornato in Germania.
Stando a dati di Rob Wainwright, capo di Europol, sono oltre 5mila i jihadisti europei ritornati nel Continente dai teatri di guerra dove hanno ricevuto addestramento e combattuto. E i fatti di cronaca cominciano a essere inquietanti. Una 15enne tedesca di origine marocchina, infatti, ha accoltellato un ufficiale di polizia a Hannover, un gesto che le autorità definiscono da “lupo solitario”, ma in nome dell’Isis. Il fatto è accaduto il 26 febbraio alla stazione centrale della città tedesca, quando due poliziotti hanno notato la ragazza – identificata come Safia S. – che li seguiva. Quando l’hanno fermata, chiedendole i documenti, la ragazza invece della carta d’identità ha preso dalla tasca un coltello da cucina con cui ha colpito l’agente al collo, ferendolo seriamente. Una volta arrestata, la polizia ha scoperta che la giovane aveva con sé un secondo coltello. Queste le parole del portavoce della polizia di Hannover: «Non mostrava alcuna emozione, la sua unica preoccupazione è che il velo con cui si copriva il capo fosse trattato bene. Che il poliziotto potesse morire non era affatto affar suo».
Una volta portata in tribunale, il 3 marzo, la verità è emersa: il pubblico ministero, Thomas Klinge, ha infatti reso noto che Safia aveva attraversato il confine turco-siriano per unirsi all’Isis, ma poi aveva desistito su insistenza della madre che l’ha convinta a tornare in Germania il 28 gennaio. Il quotidiano Die Welt ha poi scoperto che Safia era un membro prominente della comunità salafita locale almeno dal 2008, quando aveva soltanto sette anni e appariva in molti video di propaganda insieme a Pierre Vogel, un tedesco convertito all’Islam e divenuto uno dei predicatori salafiti più noti del Paese. Il fratello di Safia, Saleh, è detenuto in Turchia, dove è stato arrestato mentre si addestrava con lo Stato islamico.
Ma la paura è diffusa. Il 4 febbraio la polizia ha arrestato quattro presunti membri dell’Isis con l’accusa di pianificare attacchi jihadisti a Berlino: per fermarli sono stati utilizzati 450 poliziotti impegnati in raid coordinati. Il capo della cellula è un algerino di 35 anni, arrivato in Germania l’autunno scorso come profugo siriano insieme a moglie e figli: ha confessato di aver ricevuto addestramento militare dall’Isis. Algerini anche gli altri tre, uno abitante a Berlino con identità francese e gli altri a Hannover: due di loro avevano contatti con islamisti in Belgio. Ma la paura più grande resta quella del reclutamento presso i profughi che continuano ad arrivare in Germania, visto che lo stesso Hans-Georg Maaßen ha confermato come il bersaglio prioritario della propaganda siano i centri di prima accoglienza e gli ostelli. Nonostante i salafiti rappresentino soltanto una piccola parte della comunità musulmana tedesca, sono anche quella più dinamica ed estrema, quindi capace di attrarre giovani pronti ad azioni terroristiche attive.
Il 16 febbraio scorso, oltre 200 poliziotti hanno compiuto un blitz nella case di 44 salafiti a Brema e il ministro dell’Interno del Lander, Ulrich Maurer, ha ordinato la chiusura della Islamischen Fördervereins Bremen, l’associazione islamica cittadina, con l’accusa di reclutare miliziani per il jihad: «È a dir poco apocalittico il fatto che abbiamo nel cuore della nostra città persone pronte, da un giorno con l’altro, a partecipare ad atti di terrore di massa in nome dell’Isis». Questo dopo che nel dicembre del 2014 sempre le autorità di Brema avevano chiuso la Kultur-und Familieverein, un’associazione che vide alcuni dei suoi membri associarsi all’Isis in Siria.
Questo il giudizio al riguardo del capo di Europol, Rob Wainwright: «L’Europa sta affrontando la più grave minaccia terroristica da un decenni a questa parte. Ci aspettiamo che l’Isis o altri gruppi islamisti compiano nuovi attacchi sul nostro territorio con la finalità di uccidere più civili possibili. Inoltre, c’è la minaccia dei cosiddetti “lupi solitari” e dei loro attacchi improvvisi, senza contare il numero sempre crescente di foreign fighters che ritornano in Europa dove aver combattuto e che possono operare come cellule in sonno pronte ad attivarsi. Per l’Europa questa è una sfida completamente nuova».
Un recente sondaggio condotto da YouGov per l’agenzia di stampa Deutsche Presse Agentur (Dpa) ha scoperto che il 66% dei tedeschi si attende un attacco dell’Isis o di altri gruppi islamici sul suolo tedesco quest’anno, mentre il 17% non pensa che accadrà e un altro 17% dice di non avere un’opinione al riguardo. Parlando a un convegno internazionale della polizia il 25 febbraio a Berlino Hans-Georg Maaßen è stato chiaro: «La Germania non è un’isola, dobbiamo renderci conto che diventeremo un bersaglio di attacchi jihadisti e dobbiamo essere preparati». Insomma, emergenza vera. Tale da giustificare anche un accordo al ribasso con la Turchia in sede europea. Servirà o è troppo tardi?
(1- continua)