«La politica fiscale espansiva attuata dal governo Renzi nel 2014 e nel 2015 non ha portato benefici all’Italia, ma ha solo regalato crescita a Germania, Francia e Spagna. Ciò di cui ci sarebbe bisogno è di una politica fiscale comune a livello europeo». È quanto rimarca Nicola Rossi, docente di Analisi economica all’Università Tor Vergata di Roma ed ex deputato prima del Pd e poi del Gruppo Misto. Mercoledì il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, parlando alla Camera dei deputati ha annunciato nuovi tagli delle tasse in deficit per rilanciare i consumi, giustificati da una “deflazione impressionante”. E il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha rincarato la dose spiegando che “la spesa pubblica è stata tagliata per 25 miliardi. È stato tagliato talmente tanto che è difficile andare oltre”. Lo stesso presidente della Bce, Mario Draghi, ha invitato i governi dei Paesi membri a introdurre “riforme strutturali e tasse più basse per sostenere la domanda”.



Lei condivide il taglio delle tasse a deficit annunciato da Renzi?

No, la ritengo una strada molto pericolosa. Mentre può essere comprensibile un’ipotesi di politica fiscale espansiva condotta al livello dell’intera Eurozona, le stesse misure realizzate da parte dei singoli Paesi membri sarebbero una scelta abbastanza irragionevole. Servirebbe infatti ad acuire le divergenze già presenti e già pericolose all’interno dell’Eurozona e quindi a rendere ancora più difficile il funzionamento della moneta comune. Se l’Italia seguisse questa strada si prenderebbe una bella responsabilità. Il nostro Paese in questo momento rappresenta purtroppo un rischio sistemico, dato il livello del nostro debito pubblico.



Tagliando le tasse a deficit il nostro governo apre un nuovo scontro con l’Unione europea?

Il problema non è tanto lo scontro con l’Ue. In assenza del completamento dell’unione bancaria, con un’unione fiscale che ancora non si intravvede e senza un’unione politica, è necessario un minimo di omogeneità tra i Paesi membri dell’Eurozona. Al contrario quello che si registra negli ultimi anni è che, soprattutto per l’iniziativa di Italia e Francia, il grado di omogeneità dell’Eurozona sta diventando sempre minore. Ciò significa mettere a rischio la moneta unica. Penso veramente che sia una scelta molto pericolosa, perché l’Italia volente o nolente in questo momento rappresenta un rischio sistemico per l’intera Unione europea ma non solo.



Dal momento che l’Ue non ha una politica fiscale comune, che senso ha dire che gli interventi espansivi dovrebbero essere fatti da Bruxelles?

Il punto è che attuare una politica fiscale a livello del singolo Paese non serve. Ammesso e non concesso che ci sia bisogno di una politica espansiva, lo sforzo deve essere fatto per convincere gli altri Stati membri ad andare nella direzione di un maggior coordinamento delle politiche fiscali. Scegliere la strada del fai-da-te, che è quella che il governo italiano sembra voler adottare, non è molto ragionevole.

Perché?

Perché da un lato acuisce le divergenze all’interno dell’Eurozona e quindi rende più difficile il suo funzionamento. Dall’altra è anche inutile. Il governo Renzi ha seguito la strada della politica fiscale espansiva nel 2014 e nel 2015, con risultati irrisori dal punto di vista della crescita. Noi infatti siamo un’economia aperta, e con la nostra politica espansiva abbiamo regalato crescita a francesi, spagnoli e tedeschi.

 

Il ministro Padoan ha detto che la spesa è stata tagliata di 25 miliardi e che il governo non può fare di più. Come valuta le sue affermazioni?

Sono affermazioni che fanno sorridere. Innanzitutto la spesa pubblica è stata tagliata per 25 miliardi ed è stata aumentata per 20 miliardi. Quindi il taglio effettivamente è stato solo di 5 miliardi. Inoltre, cosa ancora più importante, se si pensa di avere finito la spending review tagliando 25 miliardi si è molto lontani dalla realtà.

 

È così semplice tagliare la spesa pubblica?

Nessuno mette in dubbio che la spending review sia un’operazione difficile e complicata, ma se almeno non si comincia non andrà da nessuna parte. Onestamente pensare che in un Paese che spende più del 50% del suo Prodotto interno lordo sia sufficiente tagliare la spesa per l’1,5% del Pil e poi spendere l’1% in più è una cosa che fa sorridere.

 

L’annuncio di Renzi che intende tagliare le tasse ha anche una valenza politica rispetto alle prossime elezioni amministrative?

È probabile che ci sia anche un calcolo politico dietro a una scelta di questo genere. Gli obiettivi dei governi non sempre necessariamente coincidono con quelli dell’intera collettività, in quanto spesso e volentieri sono obiettivi partigiani. È però un calcolo politico molto rischioso, nel senso che per portare a casa qualche voto si mette a rischio il Paese. Io penso che non sia una cosa sensata.

 

(Pietro Vernizzi)