La recente intervista a Paolo Carozza pubblicata su queste pagine ha posto in rilievo l’importanza che la Corte Suprema ha negli Stati Uniti e la conseguente gravità dell’impasse in cui rischia di trovarsi dopo la morte di un suo componente, il giudice Antonin Scalia, ascritto alla componente conservatrice. Nell’intervista è ben evidenziato il dibattito, meglio la lotta politica, che si svolge attorno alla nomina del sostituto, che spetta al Presidente, ma che deve essere approvata dal Senato. I Repubblicani, in maggioranza al Senato, hanno già dichiarato che non approveranno nessuna scelta di Obama e il rischio è che non si arrivi ad alcuna nomina prima delle elezioni presidenziali di novembre.
Nella Corte Suprema i giudici sono nove e spesso le decisioni, soprattutto quelle più critiche, vengono prese con votazioni 5 a 4 e con otto giudici potrebbe essere difficile raggiungere una decisione in molte importanti questioni sottoposte alla Corte. Nonostante abbiano abitualmente dimostrato la loro indipendenza dagli schieramenti politici, i giudici vengono comunque scelti dai due partiti e la loro appartenenza non è irrilevante, soprattutto sui temi sensibili. Gli otto giudici attuali vengono attribuiti per metà a ciascuno dei partiti, Repubblicani e Democratici.
In questa ottica va letta la decisione della Dow Chemical, la multinazionale operante nel settore chimico, di addivenire a un accordo per risolvere un’azione collettiva contro la società, pur in pendenza di ricorso presso la Corte Suprema, per un importo non indifferente di 835 milioni di dollari. La stessa Dow ha dichiarato che la decisione è dovuta alle crescenti incertezze politiche attorno alla Corte e all’aumentata probabilità di sentenze sfavorevoli alle società coinvolte in class action.
L’incerta situazione della Corte Suprema coinvolge anche un altro fatto importante, che però non sembra avere avuto una grande risonanza, almeno in Italia: il probabile rischio di fallimento a breve termine di Porto Rico. L’isola caraibica si trova infatti di fronte a un debito pubblico di 72 miliardi di dollari, che non è in grado di ripagare senza una sua ristrutturazione. Il Congresso ha escluso Porto Rico dall’applicazione della legislazione federale sulla bancarotta degli stati, dato che non è uno Stato ma un territorio degli Stati Uniti. Il Parlamento portoricano ha così emanato una propria legge sulla ristrutturazione del suo debito, ma questa è stata dichiarata inapplicabile da tribunali americani, portando così il Governo dell’isola al ricorso presso la Corte Suprema.
I tempi per Porto Rico sono molto stretti, ma difficilmente la Corte riuscirà a prendere una decisione, tanto più che in questo caso i giudici sono ridotti a sette, perché il giudice Samuel Alito si è tirato fuori dalla questione, probabilmente per un possibile conflitto di interessi. La bancarotta di Porto Rico avrebbe conseguenze piuttosto gravi non solo in termini economici ma anche politici, ridando vita alle accuse dei portoricani di essere trattati ancora come una colonia e non come un territorio autonomo.
Il Congresso sta quindi cercando una soluzione attraverso una legge ad hoc che consenta la ristrutturazione del debito, ma le divisioni sono forti tra i Democratici, in favore di una legge che consenta una completa ristrutturazione di tutto il debito pubblico portoricano, e i Repubblicani, che temono i riflessi finanziari di questa soluzione sugli altri stati e che chiedono una commissione che controlli strettamente il risanamento del debito, così come è stato fatto nel caso di alcune città americane. In questo modo si andrebbe però a cozzare direttamente contro l’autonomia concordata con Porto Rico, dove una parte della popolazione è in favore dell’indipendenza.
La situazione economica dell’isola è molto precaria, soprattutto dopo che gli Usa hanno ridotto di molto gli aiuti e gli incentivi, e ciò ha portato a ulteriori flussi migratori verso gli Stati Uniti, particolarmente in Florida, e ciò rischia di avere conseguenze anche sulla campagna per le elezioni presidenziali. I residenti nell’isola non possono votare nelle elezioni presidenziali, ma possono partecipare alle primarie, e tendenzialmente la maggioranza è a favore dei Democratici. Oltre i 3,5 milioni di residenti, vi sono circa quattro milioni di portoricani negli Stati Uniti e il loro voto è importante, come quello di tutta la minoranza ispanica.
Le decisioni del Congresso sulla ristrutturazione del debito e lo schieramento in proposito dei due partiti sarà quindi decisivo per la conquista del voto portoricano.