Come già sottolineato da Gustavo Piga in un’intervista pubblicata su queste pagine, l’unica possibilità ragionevole per tenere sotto controllo il rapporto debito/Pil è quella degli investimenti di Stato, che all’inizio devono essere in deficit. Questa opzione è tanto più efficace in un periodo di deflazione e alta disoccupazione come il nostro, perché immette denaro fresco in un sistema economico che annaspa e permette l’aumento immediato del Pil, visto che le persone meno abbienti non risparmiano sui beni voluttuari ma su quelli necessari, rimandando la spesa medica o l’acquisto di una nuova auto. Quindi non sono soldi che finirebbero in qualche investimento in borsa, come accadrebbe a un’eccedenza di liquidità che si può accantonare per un investimento a lungo termine.
Questo al contrario non può accadere con la massa di liquidità fornita dalla Bce di Draghi alle banche, perché queste troveranno sempre più conveniente investire nei mercati finanziari piuttosto che nell’economia reale. Finché l’economia non riprende a crescere, non sarà ragionevole investire nell’economia reale. Ma la crescita non vi sarà finché non vi saranno questi investimenti. Un classico giro vizioso che rischia sempre di più di diventare un girone infernale per l’economia reale.
Quindi quello che occorre sono gli investimenti dello Stato.
Ma proprio questi sono impediti dalle regole europee e dalla Bce, che in questi anni ha instaurato una vera e propria dittatura della moneta. Ha fatto in modo che tutto dipendesse dall’emissione monetaria, ha acquisito un potere enorme e l’ha pure utilizzato (e lo sta utilizzando, immettendo colossali quantità di liquidità), ma da queste stesse regole è rimasta incastrata, perché non sono sufficienti a far uscire dalla crisi e dare slancio alla ripresa. Anzi, proprio nel suo settore specifico la Bce ha clamorosamente fallito. Avendo come unico target il mantenimento di un livello di inflazione inferiore e prossimo al 2%, da anni questo livello è invece vicino allo zero, quando non negativo. E tutti i suoi bazooka non hanno smosso una virgola in tal senso.
Il fallimento della Bce rispetto al suo target lo ha riconosciuto anche Piga, nella sua intervista: “Anche la Bce ha le sue colpe per questo disastro. La banca centrale ha come obiettivo un’inflazione del 2%, ma ha comunicato che siamo allo 0%. Negli Stati Uniti sarebbero stati tutti licenziati”. Qui da noi in Europa invece i signori della moneta sono dei totem intoccabili, sia perché non hanno per statuto nessuno a controllare il loro operato che rimane istituzionalmente insindacabile, sia perché le controparti della Bce sono a un livello istituzionale inferiore (sono Stati che si confrontano con un organismo sovranazionale). Ma soprattutto perché purtroppo a livello europeo soffriamo di un nanismo politico sconcertante da parte dei maggiori paesi europei.
La situazione è abbastanza differente invece tra quegli stati che sono abbastanza piccoli da non avere quasi nulla da perdere. Qui l’insofferenza verso le istituzioni europee non è solo una parte consistente della politica (come in Italia con la Lega, in Francia con il Fn di Le Pen, in Germania con il partito antieuropeista Afd), ma è maggioritario e al governo, come in Ungheria, Polonia e più recentemente Repubblica Ceca e Austria. Non a caso nei primi tre paesi vige ancora una moneta nazionale. E sono paesi che, con modalità diverse, hanno di fatto interrotto il loro ingresso nell’Unione europea e l’adozione della moneta unica.
Occorre ricordare infatti che tutti i paesi dell’Unione europea hanno concordato, per il solo fatto di appartenere all’Ue, di entrare prima o poi nella zona euro e di adottare quindi l’euro. Certo, ciascuno con i propri tempi, ma comunque euro per tutti. Ora invece Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca hanno di fatto allungato le tempistiche di adozione e non esiste per loro una data certa di abbandono della moneta nazionale. Ovvio che sia così: visto il procedere della crisi e le politiche monetarie fallimentari della Bce, non si vedono più i vantaggi di una simile decisione. E si vedono solo gli svantaggi, cioè la perdita della sovranità monetaria e l’impossibilità di svalutare la propria moneta (cioè di stampare denaro) per sostenere la propria economia nazionale.
Ma non basta. Oltre a questi ora si stanno aggiungendo Austria, Finlandia e Danimarca, con governi e popolazione sempre più insofferenti verso le istituzioni europee. I primi due infatti hanno l’euro e stanno subendo tutti gli svantaggi della moneta unica. Ma pure dalla Danimarca, che pur non avendo la moneta unica soffre della scarsa crescita di tutti i suoi vicini, vengono riflessioni sempre più acute e critiche nei confronti dell’euro. Per esempio, l’economista danese Lars Christensen, ha recentemente affermato che senza l’euro “non saremmo stati obbligati ad affrontare massicci salvataggi di Stati, non ci saremmo trovati con sette anni di recessione nell’Eurozona e la disoccupazione sarebbe stata molto più bassa”.
Tutto questo parte dall’ovvia constatazione, consolidata da cifre ufficiali, che i paesi europei senza l’euro stanno chiaramente meglio. L’economista danese in proposito ha effettuato un proprio studio, nel quale i risultati parlano chiaro. E non c’è differenza tra paesi che lottano contro una corruzione diffusa (Romania e Turchia) e quelli che invece sono ritenuti con economia e istituzioni efficienti: quelli senza euro stanno invariabilmente meglio anche di paesi che sono ritenuti efficienti (come Finlandia e Olanda). Perfino Ungheria e Islanda (che nel 2008 ha dovuto affrontare una gravissima crisi bancaria) stanno meglio di paesi con l’euro (Olanda e Finlandia) o paesi con la propria moneta agganciata all’euro (Danimarca). E conclude con un giudizio lapidario: “Possiamo discutere sul perché l’euro è stato una simile macchina per uccidere la crescita, ma non c’è dubbio che la crisi in Europa oggi è stata causata dall’euro in sé e non da errori di gestione nelle singole economie”.
Nel frattempo l’agenzia Fitch ha tagliato le stime di crescita del Pil dell’Italia per il 2016: +1%. C’è da stupirsene? Cosa aspettiamo a licenziare Draghi e uscire dalla moneta unica? Anche perché l’alternativa è presto detta: una nuova crisi devastante e, siccome in ballo ci sono enormi interessi, la soluzione finale, cioè una moneta unica mondiale, ovviamente “per salvarci dalla distruzione del risparmio e dalla catastrofe dei fallimenti bancari”.
A quale prezzo però? Al prezzo di rendere di scarsissimo valore il nostro lavoro, per pagare sempre meno ciò che vale e incatenarci sempre più strettamente nelle catene della prigionia monetaria. Li lasceremo fare?