Per non passare per gufi, diciamo subito le buone notizie della giornata conclusasi – quasi alla mezzanotte – con l’annuncio congiunto di Banco Popolare e Bpm dell’avvio di un percorso di fusione. La prima è che la foresta bancaria italiana – un tempo afflitta da pietrificazione, oggi disseminata da tronchi spezzati o bruciacchiati – sembra rianimarsi: con un progetto di aggregazione che punta alla nascita di un terzo polo dietro UniCredit e Intesa Sanpaolo: “nelle aree più ricche del Paese” recita con auto-incoraggiamento la nota.
Dopo una serie lunga e ininterrotta di settimane nere seguite alle quattro risoluzioni dello scorso novembre, il memorandum of understanding fra Banco e Bpm è almeno in apparenza un primo momento di riscossa. Per di più – ed è la seconda “buona nuova” – l’Azienda-Italia e il premier Matteo Renzi sembrano registrare una prima “vittoria ai punti” sull’Europa tecnocratica e strumentalmente “asimmetrica” verso l’Italia delle banche dopo una fila impressionante di sconfitte: dalla gestione dei dissesti di Etruria & C fino all’estenuante stallo sulla bad bank di ripulitura del monte-sofferenze accumulato dalla recessione post-austerity.
Danièle Nouy – l’arcigna responsabile della nuova supervisione Bce – ha esibito nuovamente ieri la sua stizzita distanza dal progetto di fusione italiana, ma non ha potuto fare a meno di dare un “via libera informale” al piano dettagliato in serata. (E’ probabile che il suo superiore istituzionale – il presidente della Bce Mario Draghi – abbia dovuto usare maniere poco gentili, ma è un altro discorso e contano i risultati).
Questo premesso – ma non è affatto poco – fra i tweet soddisfatti del presidente del Banco, Carlo Fratta Pasini, e del ministro dell’Economia Piercarlo Padoan e la fusione fatta e finita trascorreranno sette lunghi mesi: di passione, “di desiderio” avrebbe detto Umberto Eco. Fra il “desiderio” del premier Renzi di poter esibire una “sua” fusione bancaria – forse presupposto di altri e più ordinati salvataggi – e la realizzazione dell’edificio disegnato ieri notte dal comunicato, ci sta in mezzo anzitutto un grosso aumento di capitale da parte del Banco: un miliardo. Sulla carta è già sottoscritto: Mediobanca e BankAmerica-Merrill Lynch saranno in campo per realizzarlo, non diversamente da come UniCredit ha garantito in partenza l’aumento della Popolare di Vicenza (1,75 miliardi) e Banca Imi (Intesa Sanpaolo) quello di Veneto Banca (1 miliardo). Ma finora nessuna delle tre Popolari del Nordest ha ancora incassato un euro dal mercato.
Aumenti di capitale e fusioni delineati dai consigli d’amministrazione – in ogni caso – restano prerogativa ultima dei soci. Non a caso il comunicato Banco Popolare-Bpm punteggia primavera estate e autunno di numerosi appuntamenti assembleari. I soci del Banco – privati e istituzionali – dovranno capire quali saranno rischi e opportunità di un aumento al momento non ancora strutturato. Li aiuterà ovviamente, fin da oggi, la Borsa. Che accadrebbe se il mercato si simostrasse freddo? E’ presto per dirlo, ma non sarebbe improbabile che il Banco diventasse “di proprietà” del pool finanziario che garantisse l’aumento (non ha stupito che il finanziere Davide Serra, vicinissimo a Renzi, abbia dato da Londra un forte endorsement alla fusione).
Un po’ diversa la questione vista da Milano. Da Piazza Meda, ieri sera, non è giunto alcun segnale aperto di compiacimento: tanto che è stato il comunicato a premurarsi di sottolineare un generico atteggiamento positivo da parte del Consiglio di sorveglianza, il diaframma con i soci (soprattutto dipendenti) ieri riunito a lungo. In Bpm l’appuntamento decisivo non sarà l’assemblea straordinaria – come per il Banco – ma l’assemblea ordinaria di fine aprile. Assieme all’approvazione del bilancio i soci rinnoveranno il consiglio di sorveglianza e il suo presidente Pietro Giarda. Che accadrà se il un Cds nuovo di zecca risultasse più freddo su un piano alla fine sponsorizzato con convinzione solo dall’amministratore delegato Giuseppe Castagna? E’ vero che il finanziere Andrea Bonomi – davanti all discesa in campo di Palazzo Chigi – ha fatto mezza marcia indietro rispetto alle nuove avance di investimento e rilancio stand alone della Bpm. resta il fatto che mesi i trattative informali fra Castagna e il suo omologo veronese Pier Francesco Saviotti hanno convinto i mercati che è il Banco ad avere più interesse a fiondersi con Bpm che viceversa. E l’autonomia iniziale a una “nuova Bpm” concentrata in Lombardia è un compromesso al ribasso rispetto alle premesse di indipendenza per sei anni dell’intero polo milanese.