Nel 2012 Draghi dichiarò che la Bce avrebbe fatto qualsiasi cosa per assicurare la continuità dell’euro, convincendo i mercati allora dubbiosi. La settimana scorsa ha chiesto pubblicamente ai governi europei di chiarire quale sarà il futuro dell’Ue, in particolare dell’Eurozona. In sostanza, tra le righe, ha comunicato che l’esaurimento, oggi evidente, della voglia nelle nazioni di “fare Europa”, con conseguente vuoto di governance comune, mette a rischio l’euro.



Draghi sembra aver preso un metodo di sollecitazione negativa dei governi (o vi compattate o salta tutto) che verrà periodicamente ripetuto, avendo visto che le sollecitazioni positive non sortiscono effetti. Queste possono essere sintetizzate nella sua dottrina delle “sovranità condivise”, incorporata nel progetto di compattazione siglato dai cinque presidenti Ue, derivata dalla teoria dell’area monetaria ottimale secondo cui non ci può essere moneta unica senza una politica economica integrata, cioè una configurazione almeno semiconfederale dell’Eurozona.



Ha perfettamente ragione sul piano tecnico. Senza un centro europeo che bilanci gli squilibri prodotti dalla stessa moneta su economie diverse il sistema si spacca, appunto. Senza un garante di ultima istanza dei debiti nazionali denominati nella stessa moneta questi sono esposti a valutazioni di rischio diverse che destabilizzano l’area. Ma la Germania non vorrà compattare l’area monetaria in forma confederale e insisterà per integrarla sul piano della simmetria ordinativa, imponendo un eccesso di rigore, per esempio il progetto “Fiscal compact”, che per molte nazioni è depressivo, fonte di impoverimento e di conseguenti dissensi. In sintesi, l’euro potrebbe implodere o per mancanza di compattazione politica oppure per un tipo di compattazione destabilizzante.



Alternative? Nel libro “Sovranità & ricchezza” con il Prof. Savona (2001) e nel recente “Europa oltre” (2013) ho tentato di elaborare un modello sia di “sovranità convergenti e bilanciate”, sia di “integrazione solo sufficiente” pensando all’impossibilità di un’integrazione ottimale e cercando una soluzione pragmatica. In essenza, per far restare in piedi il sistema che c’è, pur sub-ottimale, basterebbe che ogni nazione potesse definire una propria flessibilità di bilancio, sotto euro-controllo, anche diversa dalle altre e che fosse creata una qualche euro-garanzia, pur condizionata, per i debiti nazionali.

Una convergenza pragmatica e sufficiente tra nazioni sovrane potrà consolidare e rendere comodo per tutti l’eurosistema molto più di una compattazione desovranizzante.

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