I gufi sono animali strani, si levano in volo di notte e non rispettano nemmeno le feste comandate. Così, anche questa Pasqua non hanno mancato di far sentire il fruscio delle loro ali. E per ben quattro volte addirittura. La prima quando la Bce ha alzato il dito contro l’eccesso di debito italiano. La seconda volta quando si è visto che la congiuntura europea resta debole, ma quella italiana lo è ancora di più. La terza con gli inquietanti segnali che la riforma delle riforme, cioè il Jobs Act, non sta funzionando. Infine, con le prime indicazioni sugli acquisti e sugli spostamenti pasquali.
Il marzo pazzerello si conclude con tempo perturbato. Se ad aprile non c’è una vera ripartenza, saranno guai seri. I messaggi tranquillizzanti del governo, i ripetuti inviti di Matteo Renzi a “pensare positivo” come Jovanotti, finora sono caduti nel vuoto. Cominciamo dal debito. L’Italia è particolarmente vulnerabile, dicono gli economisti di Draghi, a ulteriori scossoni finanziari molto probabili se continua la minaccia del terrorismo islamico e/o se la Federal Reserve il mese prossimo comincerà a tirare i freni, se il petrolio precipita ancora o se si diffonde sui mercati la convinzione che la bolla monetaria gonfiata dalle banche centrali per dare liquidità alle banche e nutrimento all’economia reale sia arrivata al punto di rottura. Il governo italiano sostiene che il debito comincerà a scendere dal prossimo anno grazie alla crescita del prodotto lordo nominale (cioè inflazione compresa). Ma i prezzi ristagnano e il prodotto reale anche.
Vedremo come sarà l’andamento di questo trimestre, ma poiché il Pil è entrato nel 2016 rallentando nettamente, ci vorrebbe una accelerazione potente che finora non si è vista. Speriamo che l’Istat ci smentisca, ma l’osservazione della realtà attorno a noi mostra che siamo in mezzo alla palude e non sappiamo come venirne fuori. La crescita, dunque, resterà bassa, la produttività non aumenterà a sufficienza, il costo del lavoro per unità di prodotto è superiore a quello dei nostri concorrenti (anche se i salari sono inferiori e continuano a non crescere), le banche stentano a smaltire i crediti “non performanti” cioè incagliati o perduti. Come volete che possa ridursi in modo significativo il debito?
L’Italia ha pensato di agganciarsi alla svolta dell’economia internazionale grazie alle esportazioni, e non c’è dubbio che le imprese fortemente orientate all’estero si siano date da fare, tuttavia non sono in grado da sole di trascinare l’intero corpaccione economico, per di più oggi soffrono la crisi dei mercati emergenti e una domanda europea molto debole. La Germania cresce dell’1,5% appena, la Francia ancor meno e questi due paesi da soli assorbono la maggior parte del made in Italy. I consumi domestici in Italia sono fiacchi, lo dimostrano anche i primi segnali che vengono dalle feste pasquali, gli investimenti, dopo una ripartenza dovuta all’esaurirsi delle scorte, battono il passo, il settore dei servizi è ampiamente improduttivo, quindi non c’è nessuna possibilità di compensare con la domanda interna la debolezza di quella estera.
Questa settimana arriveranno i dati europei su inflazione e occupazione. Incrociamo le dita, intanto però sta emergendo chiaramente che parecchie cose non funzionano nel mercato del lavoro riformato. Lo ha detto alla Stampa Michele Tiraboschi, che non può essere inquadrato nelle schiere dei gufi, tanto meno tra i nemici del Jobs Act. Il programma Garanzia Giovani finora è un fallimento. “Solo a un ragazzo su quattro – dice il giuslavorista – è stata erogata una misura concreta. E appena nel 3,7% dei casi si è trattato di un contratto di lavoro. Era il primo banco di prova per vedere la tenuta della riforma ed è un flop. Ci sono molti iscritti, i giovani ci credono, attirati dalla parola garanzia, ma poi non ricevono risposta”. Come mai? I tirocini non sono seri, sottolinea Tiraboschi, le regioni si muovono ognuna per conto proprio, l’alternanza scuola-lavoro non esiste nei fatti. E questa volta le risorse non mancano: per ogni ragazzo i contribuenti spendono 36 mila e 565 euro. Forse era meglio metterli direttamente nelle loro tasche, come la moneta lanciata dall’elicottero della quale parlava Milton Friedman.
Al di là delle disfunzioni, in ogni caso, bisogna tenere conto che scarseggiano i posti di lavoro, soprattutto quelli che i giovani cercano. La differenza tra aspettative e realtà finora è stata riempita dagli immigrati. Adesso rischia di restare vuota. Insomma, il Jobs Act funziona se l’economia tira, pensare di rovesciare l’ordine dei fattori era irrealistico e si è dimostrato in effetti velleitario. Detto in altri termini, un mercato del lavoro flessibile è una molla formidabile, ma per farla scattare occorre un impulso dal lato dei consumi e degli investimenti.
La politica dell’offerta va accompagnata a una politica della domanda ed entrambe richiedono l’uso di risorse pubbliche per ridurre le imposte. Con un debito come quello italiano è impossibile, a meno di non mettere mano alla spesa corrente senza provocare una ricaduta negativa sulla congiuntura. Un doppio salto mortale con avvitamento. E non si vedono atleti in grado di farlo dalle parti di palazzo Chigi. Per ora.
Proprio perché amiamo gli uccelli di Minerva, ma non i menagrami, perché tutto sommato siamo ottimisti e razionali, crediamo che con lavoro, impegno e allenamento adeguato sia possibile raggiungere quel che oggi appare impossibile. Ma bisogna cominciare in tempo e questa volta il tempo sta per scadere.