«Da novembre la ripresa dei consumi si è bloccata. Per fare risalire i consumi non basta la fiducia, ma occorre anche che ai cittadini arrivino e rimangano più soldi nelle tasche. È questo il dato di fatto con il quale il governo dovrà fare i conti». È quanto evidenzia Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università Cattolica di Piacenza. Dai dati Istat pubblicati martedì emerge un miglioramento nella fiducia dei consumatori, che passa da 114,5 a 115, e un peggioramento di quella delle imprese, da 103,2 a 100,1. La crescita nella fiducia dei consumatori è però apparentemente contraddetta dal fatto che, sempre secondo l’Istat, a gennaio le vendite del commercio al dettaglio sono rimaste invariate rispetto a dicembre, mentre sono diminuite dello 0,8% rispetto a gennaio 2015. Non a caso Adusbef e Federconsumatori hanno rimarcato che le stime dell’Istat sono “eccessivamente ottimiste” in quanto “di fronte alla situazione estremamente grave in cui versa il potere di acquisto delle famiglie tali dati, anche se cauti, risultano fuori luogo”.



L’aumento della fiducia dei consumatori è sinonimo di una crescita della domanda interna?

Nei dati Istat c’è una discrasia tra l’andamento della fiducia dei consumatori che continua a migliorare e i dati di consumo effettivi sulle vendite al dettaglio raccolti sia dall’Istat che da altre fonti. Da novembre in poi di fatto la ripresa dei consumi si è bloccata, e questo è il dato di fatto con cui il governo dovrà fare i conti.



Che cosa non sta funzionando?

Il punto è che per fare risalire i consumi non basta la fiducia, ma occorre anche che ai cittadini arrivino e rimangano più soldi nelle tasche, cioè che aumenti il loro reddito disponibile. La diminuzione delle imposte prevista per il 2016 è piuttosto limitata, e quindi da questo punto di vista quanto è stato fatto è ancora insufficiente.

Intanto la fiducia delle imprese registra un peggioramento. Perché?

Sicuramente l’aumento dei consumi, per quanto limitato, è andato più che in passato in importazioni. Ciò è in funzione del fatto che nel corso della crisi è diminuita la capacità competitiva delle aziende italiane e del made in Italy, soprattutto per quanto riguarda le piccole imprese. Tutto questo va a minare la fiducia delle imprese, perché significa che qualcuno vede passare il treno della ripresa senza che questo si fermi nella sua stazione.



Qual è lo stato di salute del mercato immobiliare?

Guardando ai dati del mercato immobiliare quello che emerge è che, mentre c’è una ripresa delle compravendite, i prezzi sono rimasti ancora stazionari. Non c’è quindi ancora una crescita della domanda di case, e ciò segnala il fatto che i consumatori continuano ad avere bisogno di più soldi in tasca.

Insieme a questi aspetti negativi, lei vede emergere anche un dato positivo?

Un elemento dal quale si può sperare qualche risultato positivo per il 2016 è l’azzeramento della Tasi e dell’Imu sulla prima casa. È su questo intervento che il governo ha deciso di “sparare” molte delle sue “cartucce”. La riduzione di Tasi e Imu sulla prima casa di fatto è la carta che il governo sta giocando nel 2016 per fare ripartire il mercato immobiliare, che è sempre stata una delle componenti importanti per la ripresa economica e che per il momento purtroppo continua a latitare.

 

Quali effetti sarà in grado di produrre l’abolizione di Imu e Tasi sulla prima casa?

Ritengo che avrà un effetto positivo sulla domanda interna, anche se ho qualche dubbio sul fatto che ciò sia sufficiente a cambiare la situazione economica complessiva. L’ammontare totale della tassazione rimane molto elevato, sia per le imprese sia per le famiglie, e questo certamente è un freno per una ripresa più cospicua.

 

Tagliare anche le tasse su seconde case e immobili non abitativi favorirebbe la ripresa nel settore delle costruzioni?

Nel settore immobiliare la ripresa più consistente può essere quella di tipo qualitativo e non invece quantitativo. Il futuro può venire dalla costruzione di case più sostenibili dal punto di vista ecologico e dalla riprogettazione delle città, come auspicato martedì da Renzo Piano sul Corriere della Sera. Sono invece contrario all’idea di tagliare le imposte su seconde case e immobili non abitativi. La casa infatti è l’unico bene immobile per antonomasia, e quindi ciò significherebbe togliere del tutto risorse agli enti locali che diventerebbero ancora più schiavi della politica centrale.

 

(Pietro Vernizzi)