Le recenti dichiarazioni di Montezemolo su Alitalia riflettono un po’ i toni sempre positivi espressi da quando l’ex compagnia di bandiera si è “privatizzata”, con l’arrivo dei “mitici” capitani coraggiosi. Che riuscirono benissimo nel miracolo promesso dall’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: difatti ricevettero dallo Stato una compagnia aerea senza un soldo di passivo (visto che i 7 miliardi e passa di euro delle perdite passò allo Stato) con sgravi fiscali incredibili e leggine ad hoc sul traffico nazionale, per riprodurre esattamente la copia della statalissima Alitalia rischiando un altro fallimento. Ma stavolta sono arrivati dall’Oriente altri capitani, forse meno “coraggiosi”, ma che sicuramente hanno dalla loro quel po’ di esperienza nel settore che invece nel 2009 venne letteralmente buttata dalla finestra, con i 10.000 licenziamenti di cui al giorno d’oggi sopravvivono almeno 3.000 ex lavoratori: gente che invece si sapeva benissimo sarebbe poi finita senza un lavoro (promesso da molteplici iniziative regionali sull’inserimento) e quindi senza reddito.
C’è da dire che il rafforzamento sostanziale sul lungo raggio è senz’altro positivo, anche se con anni di ritardo e inspiegabili cancellazioni sulle rotte cinesi dove invece i principali competitor operano da anni. Santiago del Cile rafforza il Sudamerica, continente che sembra (anche lì finalmente, dopo decenni) attrarre l’interesse sia economico che politico con i molteplici viaggi che sono stati effettuati o sono in programma da parte delle più alte cariche dello Stato. Il Messico è una novità assoluta, una rotta sulla quale scommettono anche altri vettori.
Quello che risulta incomprensibile è capire come mai Alitalia versi ancora in uno stato di passività che non ha mai smesso di esistere dal fatidico 2009. Visto il prezzo del petrolio caduto ormai stabilmente e che quindi non costituisce più una spada di Damocle del trasporto aereo e il costo del lavoro che già era arrivato ad essere competitivo nell’Alitalia statale (18% dei ricavi contro una media del 23% delle altre compagnie europee di riferimento), dato ulteriormente abbassatosi, riesce difficile capire dove si crei il buco.
Altra considerazione da fare è che purtroppo, nonostante la maggioranza del capitale sia italiana, riesce ormai difficile capire dove trovare il tricolore visto che Etihad ha di fatto nelle sue mani il pallino del gioco. Decidendo anche su fattori che fino a oggi si pensava fossero un simbolo del nostro Paese come la moda. Prossimamente si cambieranno le uniformi (pure quelle maschili da sempre ritenute, nonostante gli anni, le più attraenti anche se stiamo vivendo un’epoca dove il “vintage” è di estrema attualità) e non pare che la decisione sia in mani “nazionali”.
Ma tant’è, il nostro Paese ormai produce manager che salvano imprese (o anche compagnie aeree) straniere, quindi guardiamo con fiducia al futuro di questa Al-Italia che speriamo a breve possa tornare a produrre utili e ricollocarsi nell’ambito di quello che era fino a non molti anni fa: uno tra gli 8 “global carriers” del mondo i cui network toccavano i 5 continenti. Auguri!