L’Istat fornisce i dati sulla crescita del Pil, ma i numeri non convincono del tutto Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università Cattolica di Piacenza. Nella nota che accompagna i conti economici trimestrali è infatti scritto: “Nel 2015 il Pil corretto per gli effetti di calendario è aumentato dello 0,6%. Si fa notare che il 2015 ha avuto tre giornate lavorative in più rispetto al 2014”. Resta il fatto che appena martedì lo stesso Istat aveva comunicato che l’anno scorso la crescita del Pil era stata pari allo 0,8%.
Professore, il Pil è cresciuto dello 0,6% o dello 0,8%?
Il Pil corretto per gli effetti di calendario, cioè in considerazione del fatto che ci sono state tre giornate lavorative in più nel 2015 rispetto al 2014, è cresciuto dello 0,6%. Il dato grezzo, invece, che è quello che conta ai fini dei parametri di Maastricht, segna un +0,8%. Se gli effetti di calendario sono sufficienti a spiegare tutta la differenza non lo so con precisione, ma è quello che dice l’Istat.
Una differenza che, stando a quel riferisce l’Ansa, l’Istat dice essere in realtà dello 0,12%, perché senza arrotondamento il dato grezzo sarebbe 0,76% e quello corretto per gli effetti di calendario 0,64%…
Sì, resta il fatto che sembra che l’Istat imputi questa differenza solamente a tre giorni lavorativi in più. Può sembrare una questione da nulla, ma ricordo che la crescita del Pil ha molte ricadute e influenza la creazione di posti di lavoro e la sostenibilità dei conti pubblici.
In passato ci sono state delle differenze di questo tipo?
Nel 2011 il dato grezzo era +0,6% e quello corretto +0,7%, nel 2012 -2,8% e -2,9%, nel 2013 -1,7% e 1,8%, mentre nel 2014 i due dati coincidevano a -0,3%. Va detto che tra il 2012 e il 2011 non ci sono state differenze di giorni lavorativi, così come tra il 2013 e il 2012. Il 2014 ha avuto invece due giorni lavorativi in meno rispetto al 2013, eppure non c’è stata correzione di Pil.
Lei martedì aveva ipotizzato che la crescita del Pil dello 0,8% fosse imputabile a una riduzione del Pil del 2014, che avrebbe quindi fatto risultare l’aumento del Prodotto interno lordo superiore a quella effettiva.
In realtà non è così. Ho letto probabilmente troppo in fretta il comunicato dell’Istat, che forse non è proprio scritto per essere fruibile al meglio. In ogni caso l’Istat ritiene che il dato del 2014 non influisce nel determinare quello del 2015. Tuttavia mi preoccupa di più un’altra cosa.
Quale?
La crescita economica è in rallentamento sostanzialmente da tre trimestri e quel che possiamo vedere da vendite al dettaglio, esportazioni e altri dati di questo inizio 2016 non è incoraggiante: bisognerà inventarsi qualcosa per avere il +1% o addirittura il +1,6% che il Governo ha scritto per quest’anno nei documenti ufficiali.
In effetti l’Istat ha detto che la variazione del Pil acquisita per il 2016 è dello 0,2%: ci vorranno quindi aumenti consistenti per pensare di arrivare sopra l’1%.
Sì, il problema è che la crescita sta rallentando, non accelerando. Questo deve essere un elemento di preoccupazione, segnala l’urgenza di fare qualcosa. Non basta annunciare il taglio dell’Ires per il 2017, occorre pensare qualcosa per questo 2016.
Ma cosa si potrebbe fare? Sul fronte dei consumi non sembrano esserci spazi di manovra…
In effetti a meno di improvvisi tagli delle aliquote Irpef non credo che si possa fare molto. Si può cercare di aiutare gli investimenti con un’accelerazione di quelli pubblici, come le opere piccole che hanno magari dei cantieri che sono chiusi o che potrebbero essere riaperti.
(Lorenzo Torrisi)